MESSINA – Pubblichiamo un intervento di Giuseppe Bottaro, ordinario di Storia delle dottrine politiche (Università di Messina).
La città metropolitana di Messina, lo dobbiamo ammettere, sta vivendo ormai da un decennio una stagione di totale irrilevanza politica. Quando nell’ultima parte dell’anno vengono pubblicate le famose indagini sulla qualità della vita nelle città italiane, noi messinesi fingiamo di stupirci del fatto che la nostra città metropolitana sia nella parte bassa della classifica, vale a dire siamo e restiamo, in modo duraturo, in zona retrocessione. È quasi inutile sottolineare che su questi dati incidono in maniera significativa sia il basso tasso di crescita economica e la poca quantità di ricchezza prodotta dal nostro territorio sia l’elevato livello di disoccupazione soprattutto giovanile.
Dal 2013 ad oggi i cittadini di Messina hanno eletto tre sindaci, ricordiamo che il sindaco del capoluogo dal 2016 è anche il sindaco metropolitano, i quali dal punto vista della collocazione politica si sono dichiarati e sono stati nei fatti dei soggetti anomali. Accorinti, De Luca e adesso Basile, rispetto alle grandi famiglie politiche tradizionali della destra, della sinistra e del centro, sono rimasti estranei, isolati e di fatto non presi in considerazione da tutti i governi e dalla maggioranza dei parlamentari eletti negli ultimi due lustri, per non parlare della loro totale irrilevanza rispetto alle istituzioni politiche europee dove si decidono le sorti di una parte ingente dei fondi economici strutturali.
Quello che manca da molto tempo è una visione strategica per il futuro, un piano di sviluppo della città metropolitana che, dando un’anima e un’identità al territorio, possa porre le basi per un prolungato rilancio economico tale da consentire alle giovani generazioni una prospettiva di permanenza senza che vi sia l’obbligo certo della partenza, se non della fuga, alla ricerca di un futuro migliore.
In questi giorni tutti rimarcano il dato che l’Università di Messina e il suo Policlinico rappresentino la più importante industria della città e questo fatto è stato reso ancor più palese dalla spasmodica attesa per l’elezione del nuovo rettore, anzi, per la prima volta nell’Ateneo Peloritano, della nuova rettrice. Chi lavora presso questa struttura non può che essere orgoglioso di questa asserita centralità, indice di una chiara vitalità manifestata pur nelle tante difficoltà, ma tutto ciò non fa altro che dimostrare, in modo evidente, la povertà economica e la fragilità industriale del nostro territorio.
Una città metropolitana che viva un sano sviluppo economico dovrebbe avere molte imprese vivaci ed economicamente attive sullo scenario nazionale e internazionale e non dovrebbe essere di certo l’Università, il cui compito principale è quello di fare ricerca e formazione, la sua “più importante azienda”.
A questo punto la domanda da porsi è: che cosa vuole fare Messina, al netto del Ponte sullo Stretto che rimane pur sempre una scelta politica strategica nazionale ed europea, in ambito economico e produttivo da oggi al 2030? Ci verrebbe da rispondere: non è dato saperlo!
Si dice spesso che non possono essere i Comuni, le istituzioni politiche locali, a dover creare lavoro ma che questo è compito della libera iniziativa privata. Nondimeno, dovrebbe essere certamente compito della buona politica disegnare un piano strategico di sviluppo del territorio e delle linee programmatiche di crescita economica che possano mettere gli imprenditori, soprattutto i più giovani, nelle migliori condizioni per competere sul mercato regionale, nazionale e internazionale.
Ma di tutto ciò, nell’ultimo decennio, nella città metropolitana di Messina, non se ne vede traccia.
Giuseppe Bottaro