Un finale di rassegna molto partecipato, con plauso convinto da parte degli spettatori come ogni altra volta accorsi in gran numero. Non si sono certo risparmiati, Giovanni Maria Currò e Mauro Failla, direttori artistici del “Clan”, l’uno nelle ottime vesti di coautore e regista, l’altro di interprete, e hanno ricoperto i rispettivi ruoli con la consueta maestria, connotata per l’occasione da quel tocco in più che ha fatto la differenza. Giusi Arimatea, dal canto suo, ha davvero dato buona prova di sé in questa sua prima esperienza teatrale di coautrice dello script. Valente la resa di Failla nei panni del barbiere Tanino (che come accade a chi conduce un esercizio di barberia ha nel lungo tempo passato lì dentro perso ormai il cognome) figlio di Gino e marito della veemente Cettina, che “ha qualche chilo in più e la lingua lunga”. Tino Calabrò è stato poi un perfetto “professore”, assiduo frequentatore del locale, che, mentre fa sì che Tanino elimini il superfluo dal suo viso, con il rasoio, risponde, in modo alquanto sintetico, alle mille domande del barbiere, che vorrebbe l’amore – come espresso nelle melodie italiane popolari di fine anni 70 – fosse centrale, pure in quel periodo buio per l’Italia, segnata dalla mafia e dal terrorismo delle Brigate Rosse. Alessio Bonaffini è poi lo sfigato rapinatore di banca, che prova a nascondersi nel salone dopo il tentativo mal riuscito, attraverso cui aveva provato a riscattarsi da un’esistenza rinunciataria. Prima nazionale dunque per “Il rasoio…….”. Buona resa anche per le voci di Antonio Alveario, Ivan Giambirtone e Elisabeth Agrillo, rispettivamente il Maresciallo dei Carabinieri, alquanto ripetitivo, il Colonnello e Cettina. Scenografie e scenotecnica di Franco Currò, costumi di Liliana Pispisa, audio e suoni di Carmelo Galletta, grafica di Cinzia Muscolino, produzione dello stesso “Clan degli attori”. Tornando alla tematica dell’intitolazione, essa può sintetizzarsi in “Pluritas non est ponenda sine necessitate”: tale principio metodologico suggerisce di ricercare all’interno di un ragionamento o di una dimostrazione la semplicità e plausibilità, intese non quale ingenua spiegazione di un evento, ma come risoluzione ragionevolmente vera, e ciò anche per economia di pensiero e parsimonia: l’assunto, già noto al pensiero scientifico medioevale, acquista in Guglielmo Ockham, monaco inglese (1285-1347)latinizzato in Occam, forza nuova, fondato come diviene sulla mera concezione volontaristica .L’assunto in realtà era diffuso fin dal mondo greco ed è oggi citato in ambito scientifico ,pur se la stessa definizione di semplicità è ardua. E il 9 maggio 1978, giorno dell’assassinio di Aldo Moro e Peppino Impastato…e sul nostro Paese gronda sangue, mentre nel microcosmo dell’esercizio i tre improvvisati coinquilini, uniti dalla tensione provano a raccontarsi davvero, disvelando,ora con leggerezza.ora drammaticamente,il proprio intimo sentire,fra canzoni degli Alunni Del Sole, e citazioni di Buzzati…finchè la soluzione dello straripamento non porterà ad un finale inatteso, ma forse neanche tanto…alla ricerca della libertà.