Una tematica scabrosa (il ginecidio) espressa con equilibrio e senza ricorrere al patetismo, si intreccia con i temi cari alla scrittrice Giuseppina Torregrossa, autrice dello spettacolo Virginedda addurata, recentemente di scena a Messina al Teatro Clan Off. Raggiunta telefonicamente, l'attrice Francesca Vitale si è concessa per una lunga intervista sui motivi del suo lavoro.
L’inserimento dello spettacolo nel cartellone stagionale stilato da questa nuova realtà cittadina, ormai consolidata in ambito teatrale, mostra ancora una volta la validità delle scelte artistiche perseguite. Che rapporto ha instaurato con i direttori artistici responsabili, Failla e Currò?
Solo elogi per Failla e Currò, che hanno mostrato grande sensibilità anche nella scelta di questo spettacolo: se abbiamo potuto godere della presenza di un pubblico caldo e ricettivo – particolare che giova molto all’interpretazione attoriale – sicuramente ciò è dovuto all’ambiente che i due direttori artistici hanno saputo ricreare, con un’utenza preparata, partecipe e attenta.
Come ha percepito il testo davvero intenso e a tratti disturbante di Giuseppina Torregrossa, con particolare riguardo al suo personaggio, la Virginedda addurata? Che sensazioni ne ha tratto? Ho avuto l’impressione che Santa Rosalia abbia rappresentato un ottimo espediente per sollecitare lo spettatore alla riflessione: è così?
Ho vissuto una grande empatia con questa santa, in quanto l’ho percepita come vera e fuori da ogni stereotipo. Il testo, attraverso il racconto diretto delle protagoniste e l’avere delineato così bene il personaggio della Santuzza, riesce a ricreare quell’immediatezza che rende lo spettacolo, a mio avviso, particolarmente appetibile e stimolante.
Egle Doria ha interpretato più ruoli, da quello della vittima, che per anni aveva subito violenze e soprusi, fisici e psicologici, a quelli di sua madre, e della figlia – che non comprende quella l’accettazione supina della mamma – oltre che dell’amante del marito – la puttana del paese, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’atto efferato perpetrato dal di lei consorte- da ultimo presente in scena con voce fuori campo di Fiorenzo Fiorito. Una prova davvero impegnativa, quella della sua collega, così come la sua, che mi fa chiedere come ci si scrolla di dosso personaggi tanto inquietanti.
Certamente l’immedesimazione, che è fondamentale sopratutto nell’interpretazione teatrale, rende pesante entrare e uscire da un personaggio, soprattutto ove ciò deve ripetersi più volte in scena nel corso di una stessa rappresentazione: la professionalità attoriale si misura anche in questo sapersi destreggiare nella resa dei personaggi, mantenendo integra la propria identità personale; anche per me è stato difficoltoso riuscire a rappresentareanche Santa Rosalia che fa parlare il marito assassino.
La sua Santa, patrona di Palermo, a tutt’oggi molto venerata in città con un santuario dedicato a Monte Pellegrino, visse gran parte della sua esistenza terrena rintanata in varie grotte, in ascetico silenzio, prima ad Agrigento e poi a Palermo, ma è dipinta molto realisticamente sia nel testo che nella piece, ove è resa fra ironia e tragedia, mentre fuma e si ingozza di brioches, in una Sicilia antropologicamente retrograda, fra creduloneria, misticismo e fede. La santa è molto umana, beffarda e ironica, sembrerebbe poco intrisa di santità e ben esprime l’inconciliabilità fra una fede ortodossa incondizionata, difficilmente riscontrabile nella realtà, e una che si nutre di richieste e di contro non riesce a simboleggiare alcuna garanzia di grazia terrena. Crede che la visionaria regia di Nicola Alberto Orofino (che sottolinea come quella furia di versatili e energiche richieste popolari si scontri con il distacco della santuzza, che ascolta impassibile ed è distante in modo abissale) riesca ad evidenziare bene una sorta di duello ideologico fra sacro e profano, in cui quella vergine adorata, già vissuta in eremitaggio, mal sopporta le insolite richieste di grazia di tutte quelle donne questuanti, che non può aiutare, perché i miracoli toccherebbero, a suo dire, alle creature terrene che dovrebbero riuscire a cambiare il corso degli eventi. Qual è il suo pensiero a riguardo?
A mio avviso Orofino è riuscito perfettamente a rendere il pensiero dell’autrice e quel legame fra bene e male, fra sacro e demoniaco che è sempre presente nei testi della Torregrossa. La santa è resa certo in maniera poco ortodossa e forse questo è spiazzante, ma appare giustamente fuori dal sistema, ad esempio quando sentenzia che queste donne parlano, parlano e “La sputazza non si ferma mai”.
Il reale fatto di cronaca, davvero ferino, intercorso nel 2012, a Trapani, nei quartieri popolari, ove Maria Anastasi ricevette la morte in un agguato ad opera del marito, Salvatore Savalli, che con la complicità dell’amante, uccise, spaccandole la testa con una pala e poi bruciò, cospargendola di benzina, la consorte incinta al nono mese, ha scosso particolarmente l’opinione pubblica, trovando fortunatamente epilogo nella recente condanna all’ergastolo dell’assassino, oltre che nella punizione dell’amante… Quella contro le donne è violenza di antica data, ma oggi che finalmente se ne parla, parrebbe quasi centuplicata. La tragedia vera è che la profonda discriminazione verso il sesso femminile riesca ad assumere connotati quasi di normalità e come fisiologica continui ad essere percepita spesso anche dalle appartenenti allo stesso genere..solo ai santi può confidarsi il vissuto, in totale assenza di empatia e condivisione terrena..non crede sia questo il limite che andrebbe rimosso attraverso l’educazione al superamento degli stereotipi di genere, che origini in primis dalle scuole e in famiglia? E anche la tematica della dipendenza affettiva, strettamente connessa, così come le carenti politiche sociali e le disparità legate a ragioni economiche, come ritiene possano essere superate?
Il messaggio che passa attraverso l’opera teatrale è l’assenza di compartecipazione empatica e la solitudine che circonda le problematiche degli esseri umani, come quelle della dipendenza femminile, correlata certamente all’assenza di adeguate politiche sociali e alle diseguaglianze anche economiche fra i sessi, anche se nel nostro mondo, quello teatrale, certo queste ultime si ravvisano raramente… c’è molto ancora da fare e ovviamente occorrerebbe partire dai momenti educativi,fondamentali.
Le luci di Simone Raimondi, nel loro utilizzo così pertinente, attento e metodico, ad illuminare una scena spoglia e essenziale, e la scelta minimalista dei costumi, a sottolineare i tratti distintivi delle varie personalità femminili, hanno completato degnamente la rappresentazione, statica e pur potente,caratterizzata da un ritmo crescente,così come le musichette, con quelle canzoni molto leggere e popolari, scelte certo per contrasto, molto amate nell’ambiente di riferimento, quali “Riderà”, “Una lacrima sul viso”, “Se mi lasci non vale”… Cambierebbe qualche tassello della rappresentazione ove dovesse occuparsi ad esempio della regia?
No, come ho avuto già modo di dire, ho condiviso pienamente ogni scelta registica e ritengo che gli elementi a corredo, e cioè le scene, i costumi, le musiche, completino degnamente il quadro di insieme.
Crede che ad oggi non si possa ancora abbassare la guardia e ci sia ancora pericolo di limitazione dei diritti femminili? E questo spettacolo, come ritiene possa contribuire a risvegliare le coscienze e a riaccendere ancora una volta i riflettori sulla subalterna condizione femminile, sul potere di controllo sulle donne che ancor oggi esiste anche nel nostro paese?
Confermo di nuovo che la strada è ancora lunga e piena di insidie, certo anche una rappresentazione può essere d’ausilio alla riflessione ed al risveglio delle coscienze.
Tosi Siragusa