Criminalità messinese: clan territoriali, familistici e ben armati. La città paga il pizzo e denuncia poco

Clan territoriali, a base familistica, ben armati e dediti alle attività di riciclaggio di denaro sporco, usura, racket e droga. E’ questo il panorama ben dettagliato della “Messina città” che emerge al termine della due giorni di missione della Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta ieri dal vicepresidente Claudio Fava ed oggi dalla Presidente Rosy Bindi. “Messina è una città dove si è realizzato un patto tra l’altra faccia dello Stretto, Cosa Nostra, la mafia catanese, una città occupata da un accordo tra poteri incoffessabili, la mafia, la massoneria e la criminalità comune”, ha dichiarato la Bindi durante la conferenza stampa di chiusura dei lavori.

La città che emerge è quella di un insieme di clan criminali, non strutturati in modo tipicamente mafioso ma organizzati attorno a forti nuclei familiari, dotati di massicci carichi di armi e che esercitano il loro controllo in zone ben stabilite del territorio, quasi spartite rigorosamente. Intere e radicate famiglie, dunque, tra le cui principali attività illecite hanno meritato particolare attenzione il riciclaggio ed il pizzo. E’ su questi due aspetti, difatti, che si è principalmente concentrata la sessione dell’audizione di ieri pomeriggio ai vertici delle Forze dell’Ordine. In controtendenza con le “regole classiche” del riciclaggio che vogliono l’edilizia come sfogo prediletto del denaro sporco, è invece emerso che a Messina la tendenza in auge è quella di investire in attività commerciali.

Il dato più allarmante, però, riguarda certamente il campo del racket e della figura delle Associazioni Antiracket operanti nel messinese. Questa mattina la Commissione ha visitato la Casa Antiracket di Barcellona Pozzo di Gotto, sede della Fai, che era la casa di un usuraio, un bene confiscato, al cui piano di sopra vivono ancora i familiari dell’uomo, completamente estranei alle vicende del reato. Poi, in Prefettura, sono state audite le associazioni FAI (Federazione delle Associazione Antiracket e Antiusura italiane), Addiopizzo Messina, Libera Messina e Rita Atria Barcellona.

“Questo risveglio della coscienza civile della città ci lascia ben sperare nel futuro perché queste sono presenze molto importanti per far fronte ad una situazione difficile e preoccupante – ha commentato la Bindi – queste associazioni dimostrano che ci sono dei segnali di risveglio”. Un imput positivo, che traccia la giusta via da seguire ma che, come emerso nel corso delle audizioni, è ancora lontano dall’obiettivo. Le associazioni antiracket sembrano non riuscire ad esercitare una forza incisiva, seppur il loro lavoro di sensibilizzazione sia enorme ed instancabile. E questo, secondo le conclusioni tratte dai membri dell’organismo parlamentare, è da ricollegare alla scarsa sensibilità della cittadinanza verso questo tema. Perché se è pur vero che dallo scorso maggio, su proposta di Addiopizzo, anche Messina può vantare il suo elenco dei 50 commercianti che dicono “no” al pizzo, la realtà è che ancora le denunce sono poche, anzi pochissime. "Cerchiamo di fare il più possibile e non smetteremo mai di combattere questo sistema mafioso – ha commentato Don Terenzio Pastore, presidente di Addiopizzo – ma è pur vero che, dopo la pubblicazione dei 50 nomi dei commercianti, ci saremmo aspettati di più, un maggior coinvolgimento da parte delle altre attività commerciali. Eppure non è stato così. Se non fossimo noi a bussare porta a porta, quella lista non aumenterebbe . Non esiste ancora la denuncia spontanea, nessuno si presenta autonomamente in via Roosevelt, siamo noi, col nostro lavoro di sensibilizzazione, a trascinare i cittadini. E' un impegno che svolgiamo giorno dopo giorno, e che continueremo a svolgere nonostante, ogni tanto, sembra che la volontà generale sia quella di non volerla combattere veramente questa mafia". (Veronica Crocitti)