di Giuseppe Fera
Lunedì scorso La Repubblica ha pubblicato un interessante articolo – “Gioia Tauro: un porto da record per rilanciare la Calabria ed il Sud”-, nel quale si fanno alcune considerazioni interessanti. Riprendo queste considerazioni perché vorrei che rivedessero l’articolo e ci riflettessero sopra alcuni sapientoni ed esperti di economia del mare, che si sono con foga e vigore battuti perché il porto di Messina fosse separato da quello di Gioia Tauro.
Tempo fa ebbi una garbata polemica con l’ing. Vincenzo Franza, il quale sosteneva che il porto di Gioia Tauro fosse “decotto”, ma a quanto pare le sue previsioni sembra fossero errate.
Il porto di Gioia Tauro è vivo ed attivo e, stando all’articolo di Repubblica, rappresenta oggi il maggior porto container italiano con oltre 3 milioni di TEU movimentati; e solo qualche settimana fa ha battuto il record europeo di container movimentati in un solo giorno, ben 8514. Ma a parte i record attuali, quello che emerge dall’articolo sono le interessanti prospettive di sviluppo futuro che si presentano dopo la realizzazione del gateway ferroviario che consentirà il trasbordo dei container direttamente su treni di 750 metri (altro record nazionale). E le prospettive, aggiungo, si consolideranno quando sarà realizzata l’Alta Capacità da Gioia Tauro a Salerno. Il motivo è ben chiarito dallo stesso presidente dell’ADSP, ammiraglio Agostinelli, il quale ricorda che un giorno di navigazione di una porta container costa circa 250.000 euro e, per chi viene da Suez, da Gioia Tauro ai porti del Nord Italia ci sono 1-2 giorni di navigazione in più, cinque per quelli del Nord Europa.
Avremmo potuto esser parte di un sistema portuale e logistico ai vertici nazionali, avremmo potuto disegnare una prospettiva di sviluppo per la cantieristica messinese legata agli interventi di manutenzione, per il porto e l’area industriale di Milazzo – Giammoro, ed invece ci troviamo a gestire un piccolo porto locale per l’attraversamento dello Stretto e per un flusso croceristico che non sappiamo neppure sfruttare. Una autorità portuale, priva della logistica, che invece di pensare allo sviluppo delle attività portuali, si preoccupa di realizzare parchi urbani, aiuole, passeggiate a
mare, sostituendosi all’amministrazione comunale ed accumulando “tesoretti” di soldi non spesi. Storia tutta di messinesità! E questa stessa autorità portuale, preoccupata di tenere il dito nell’ombelico messinese, non si rende conto del pericolo che incombe sulla principale fonte di entrate dell’autorità stessa, il terminale petrolifero di Milazzo.
Se si seguisse il dibattito attuale e le risultanze della conferenza di Glasgow ci si renderebbe subito conto che la Raffineria di Milazzo ha, se non i giorni, le settimane contate e, con essa, il terminal petrolifero di Giammoro e l’economia dell’intera area. Se le importanti imprese insediate nell’area (Raffineria, A2A, Duferco) e la stessa Autorità portuale non si muoveranno rapidamente per immaginare una riconversione produttiva dell’intero polo
energetico – industriale, fra qualche anno ci troveremo a dover gestire una crisi economica e sociale senza precedenti con la perdita di migliaia di posti di lavoro; ad essere “decotto” sarà il porto di Milazzo e non certo Gioia Tauro.