Sabato scorso, con replica domenica e lunedì, è andato in scena presso il Mu.Me. (Museo regionale di Messina), lo spettacolo “Confidenze alla luna” – Storia e avventure di Vincenzo Bellini.
La pièce si inserisce nell’ambito del Bellini International Context 2023-09-11, rassegna dedicata al grande compositore catanese, che annovera diversi eventi, programmati in varie località dell’isola, fra i quali ne segnalo almeno due di maggior risalto, la rappresentazione di “Norma” il 27 e 29 settembre al Teatro V.E. di Messina, e quella de “I Puritani”, 23 e 26 settembre al Teatro Bellini di Catania.
“Confidenze alla luna” è uno spettacolo che ha visto la “contaminazione” di più arti. Ideato da Angelo Campolo, straordinario e vulcanico attore, la rappresentazione è consistita infatti in una narrazione, da parte dell’attore, di alcune vicende della vita di Vincenzo Bellini, dalla adolescenza fino alla morte, intervallate da alcuni stacchi musicali, di composizioni di Michele Amoroso, che ha diretto l’ensemble orchestrale dell’E.A.R. Teatro di Messina. Tale complesso strumentale ha anche accompagnato il soprano Giulia Greco in cinque arie belliniane, due delle quali celeberrime e tratte da opere famose. Il tutto mentre nello schermo gigante collocato in alto dietro l’Ensemble Orchestrale, venivano proiettate affascinanti videoproiezioni, ideate da Giulia Drogo, aventi come tema dominante la luna.
Dopo i saluti di rito del direttore del Museo Orazio Micali, e una breve introduzione dello stesso Campolo, lo spettacolo è iniziato con l’incipit strumentale, da parte dell’Ensemble, di “Casta diva”. La musica si è interrotta prima della parte canora, per fare spazio al racconto di Angelo Campolo. La narrazione, focalizzata su tre diversi periodi del compositore, l’infanzia a Catania, lo studio e la sua affermazione al prestigioso Conservatorio di Napoli e il definitivo successo internazionale a Milano, si è incentrata in particolare su alcuni aspetti familiari poco conosciuti: il rapporto con il padre, che, guardando la luna in una soffocante sera d’estate catanese, nel suo appartamento di Piazza San Francesco, è dubbioso sull’assecondare la vocazione e il precoce talento straordinario del suo primo genito, talento che invece è sostenuto convintamente dal nonno, musicista, che ha intuito perfettamente le eccezionali potenzialità del nipote. Finalmente il nonno convince suo figlio a lasciare andare Vincenzo a Napoli, che raggiunge in mare, partendo da Messina, in un viaggio tempestoso, nel 1819, e lì hanno inizio i suoi studi presso il Real Collegio di Musica di San Sebastiano, e la sua carriera.
A Napoli conosce Francesco Florimo, amico fedele fino alla fine, e anche suo principale biografo, e la sua prima grande passione femminile, Maddalena Fumaroli, la cui relazione è però ostacolata dal padre di lei che, di famiglia benestante, non poteva sposare un “suonatore di cembalo”. Viene citato il noto episodio del suo primo grande successo: “Bianca e Fernando”, titolo trasformato all’ultimo momento in “Bianca e Gernando” per non mancare di rispetto al Principe Ferdinando di Borbone.
Poi il suo trasferimento a Milano ove compone, per il Teatro alla Scala, le sue opere più celebri, come “Norma” e “Sonnambula”. “Norma” non fu un successo alla sua prima rappresentazione, e Campolo ha rievocato efficacemente la profonda delusione di Bellini, che arriva a piangere al cospetto del suo cocchiere che lo aspettava all’uscita del teatro.
Infine, il suo grande successo a Parigi, ove conosce i grandi musicisti e personalità dell’epoca, ma ove trova anche la prematura morte, causata da un’infezione intestinale, a soli 33 anni.
La sua tomba giacque per molti anni accanto a quella di Chopin e Cherubini, nel cimitero parigino di Pere-Lachaise, fino a quando le sue spoglie furono definitivamente traslate al Duomo di Catania.
Campolo non ha mancato di evidenziare il famoso “Cantabile” che ha contraddistinto la produzione musicale di Bellini, una melodia che deve essere accompagnata discretamente e in maniera semplice dall’orchestra, una cantabilità sempre connessa al dramma rappresentato, mai fine a se stessa, come spesso era invece caratterizzato il bel canto dell’epoca. Si pensi che Chopin, maestro assoluto del “cantabile” nel pianoforte, quando insegnava ai suoi allievi come doveva essere reso il cantabile, raccomandava loro di ispirarsi alla musica di Bellini.
Angelo Campolo ha raccontato tali vicende con lo straordinario ritmo che contraddistingue tutte le sue performance, catturando la totale attenzione dello spettatore. La narrazione è stata intervallata da stacchi musicali, di composizioni, dal carattere direi lunare, in sintonia con l’intitolazione della piece, di Michele Amoroso, composizioni strumentali melodiche ma proprie del nostro tempo i cui titoli sono: “Attesa”, “Vocalise”, “Eternità d’amore”, “Danza magica”, “Sfere”, “Rimembranze”, “Suite delle stelle”. Non potevano mancare, ovviamente, le musiche di Bellini, superbamente interpretate dal soprano Giulia Greco, giovane cantante messinese di indiscusso talento. Il soprano ha interpretato alcune romanze belliniane, “Dolente immagine di fille mie”, “Vaga luna che inargenti” “Malinconia, ninfa gentile”, e soprattutto due splendide e celebri arie d’opera: “Qui la voce sua soave”, la splendida aria di Elvira in preda alla pazzia de “I Puritani”, e da ultimo, “Casta diva”, l’aria più famosa di “Norma” e probabilmente di tutta la produzione operistica di Bellini, cantata senza l’incipit orchestrale, che avevamo già ascoltato all’inizio dello spettacolo, quasi a ricongiungersi al principio di questo meraviglioso racconto.
Forse sarebbe stato più opportuno dare maggiore spazio alla musica di Bellini, anche a quella strumentale, e collocare cronologicamente i brani nel contesto della narrazione. Le arie proposte non sembra abbiano seguito un iter logico, come, ad es. “Qui la voce sua soave”, la prima aria eseguita – e interpretata splendidamente – da Giulia Greco, che però è tratta dall’ultima opera di Bellini (I Puritani).
Uno spettacolo comunque coinvolgente e di grande pregio artistico, che ha riscosso ovazioni dal numeroso pubblico presente, arricchito dal suggestivo sito, ai piedi del maestoso Nettuno del Montorsoli.
Splendido il bis concesso da Giulia Greco e l’Ensemble Orchestrale dell’E.A.R. Teatro di Messina, la celebre aria “Ah, non credea mirarti” da “Sonnambula”.