REGGIO CALABRIA – La consueta, attesa fiumana di gente invade la Cattedrale di Reggio Calabria in occasione della rituale consegna del Cero votivo.
Si tratta della porzione di festeggiamenti religiosi che s’interseca con l’agire amministrativo attraverso appunto la tradizionale consegna di un grande cero alla Madonna della Consolazione, che simboleggia l’affidarsi completamente, e ancor più l’affidare la città, alla sua Patrona.
Si tratta, spiega emozionato il sindaco facente funzioni Paolo Brunetti – al suo debutto in questa partecipatissima ed emblematica partecipazione alla consegna del Cero votivo – di un «identitario retaggio di rinnovata testimonianza d’atto di fede e comunione», ricordando d’essere nelle temporanee funzioni dal novembre scorso.
«E anche per questa circostanza mi faccio forza per sopire l’emozione», ribadisce, nell’affidare «alla guida materna e illuminata di Maria Santissima della Consolazione il nostro operato e l’intera Città», che occorre sempre operare «nel giusto e per il bene delle comunità: rifuggendo da ogni malaffare e malafede, da ogni maldicenza e ingiuria, da ogni inganno e da ogni utilità individuale. Ecco la forza del Bene che vince sul Male».
Questo, soprattutto, nella consapevolezza piena «che non siamo soli».
Ad avviso del primo cittadino, Reggio Calabria ha già dimostrato d’essere «una comunità capace di stare unita» quando il Covid “mordeva” maggiormente, «ci siamo stretti tutti insieme: Istituzioni, associazioni, professionisti, imprenditori, forze dell’ordine, cittadini. E tutti insieme ci siamo aiutati», con tante figure professionali che hanno proseguito nel proprio operato, a partire da operatori sanitari e dei servizi alla persona.
Secondo l’amministratore, «è da qui che bisogna ri-partire».
Proprio un cuore «aperto alla benevolenza» consentirà a ognuno di noi d’«opporsi all’ignobile, aberrante morsa della ‘ndrangheta, costituendo un argine di legalità».
Il pensiero di Brunetti va a tutti i figli della comunità reggina, «anche a quelli che hanno deviato dalla via della rettitudine». Fortemente richiamato il «bisogno di menti colte e illuminate» per promuovere un futuro diverso, «abbiamo bisogno dei nostri giovani» esclama il sindaco facente funzioni, facendo loro presente che «il futuro è il riflesso delle “cose ben fatte o ignorate”» per non rimanere «incatenati al muro degli errori passati».
Paolo Brunetti chiede a gran voce l’aiuto della Vergine per «illuminare le scelte» di tutti gli imprenditori, «sia di coloro che si sono frapposti al racket, sia di quanti, ancora, invece vacillano», fermo restando il plauso ‘largo’ ai tutori della legge.
E c’è poi, da parte del primo cittadino, il richiamo alla necessità di “fare squadra”, tutti insieme, per fare di Reggio Calabria «una città moderna, ma con radici ben salde nella Storia».
Di certo, «nessuno domina a sé solo»… Ecco allora quello che Brunetti definisce l’«impegno assoluto» dell’intera Amministrazione comunale, malgrado «il persistere di criticità e disservizi» rispetto ai quali «non chiediamo indulgenza, ma comprensione». E poi ricorda l’amministratore come anche nell’accoglienza dei profughi ucraini la città si sia distinta, così come nella recente riqualificazione del “Cimitero dei migranti e dei poveri” di Armo.
…Un auto-assist al richiamo delle parole di Papa Francesco durante l’incontro con gli amministratori dell’Anci. Paternità, periferie e pace le “tre P” poste in evidenze dal Pontefice: «Dalle periferie, non dal centro, si vede meglio la totalità. Ripartire dai poveri, che “ci chiamano” alla solidarietà…». E poi il rinnovato appello ai più giovani: «Mostrateci che avete più cuore e fantasia di noi».
La Giornata per la Custodia del creato si terrà proprio a Reggio Calabria nei prossimi giorni: quello è l’appuntamento al quale Brunetti invita tutti. Ribadendo il proprio affidarsi alla Madonna della Consolazione, Patrona di Reggio Calabria, per rinnovare l’impegno «a essere attenta alle esigenze delle persone più fragili e bisognose» e «a esercitare le proprie funzioni in modo legale, efficace, trasparente e imparziale». E chiudendo poi con un classicissimo «ora e sempre, viva Maria».
Dopo il discorso del sindaco Brunetti, la prima lettura – un ben noto passo dal libro di Isaia – fa presente l’importanza del Signore “Giusto”, quell’Essere soprannaturale che «mi ha avvolto con il mantello della Giustizia». «Io avrò fiducia, non avrò timore / perché mia forza e mio canto è il Signore», recita il salmo 12.
Dalla seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi la seconda lettura. Il Signore «ci consola in ogni nostra tribolazione» affinché possiamo noi stessi «con la stessa consolazione» consolare gli altri afflitti del mondo.
Il canto che precede il passo del Vangelo esalta le beatitudini ed esalta gli ultimi, beati «perché saranno consolati».
Giusto un prologo del passo evangelico, l’estratto dal Vangelo secondo Matteo appunto sulle beatitudini. «Beati i perseguitati per la Giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati voi quando v’insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Prima della benedizione del Cero votivo in quanto tale, la Liturgia della parola affidata evidentemente all’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, monsignor Fortunato Morrone che, nel ringraziare religiosi, il prefetto Massimo Mariani, il sindaco (ringraziato «per il suo appassionato intervento»), il sindaco metropolitano Carmelo Versace e i fedeli, non manca di porgere un saluto speciale ai portatori della Vara.
«Mi sto esercitando anch’io nell’ascolto e dunque nel riproporre, certamente come Vescovo…, ciò che abbiamo vissuto in questo primo Anno sinodale: sistole e diastole…», esordisce monsignor Morrone.
Immediato il riferimento all’uscita pregresso periodo delle restrizioni da Covid: sul «delicato periodo della ripresa si addensano però i fumi della guerra». Un frangente che però ha fatto emergere una straordinaria «ricchezza d’umanità» della comunità reggina.
Le beatitudini? «Le conosciamo a memoria, forse. Sono infatti il programma di vita “altra”» che ci ha consegnato Gesù Cristo, fa presente il presule.
Il suggerimento forte di monsignor Morrone, nei fatti, si rivolge però agli amministratori. Cui si rivolge caldeggiando un’effettiva «disponibilità al confronto» procedendo su un asse composto da «bagno d’umiltà, rifuggire da ogni risentimento e da infantilismi». Un’«attenzione che, dice Enzo Bianchi, è “lucida presenza a se stessi” e ci rende meno arroganti».
Messaggio arrivato? Chissà…
Dunque il confronto per l’arcivescovo «non è un mero cortese sentire le ragioni altrui né un ‘parlarsi addosso’, ma far parlare la vita di ciascuno per offrire respiro e dignità umana. Questa è la vera sfida ecclesiale, in un vero mondo di bisogno egolatrico», legato cioè a un forsennato culto del proprio ‘ego’, di se stessi.
Il presule e guida della Conferenza episcopale calabra esprime queste idee come spunti rivolti alle parrocchie e a chi le governa; ma è fin troppo evidente che le «criticità nell’impianto comunionale dell’essere Chiesa» possono ben estendersi a ogni tipo di comunità.
Infatti «un ascolto attento è propizio per ogni sentimento umano di profonda amicizia», fa presente monsignor Morrone richiamando l’esperienza evangelica della casa di Betania, domus Ecclesiae nei Vangeli di Luca e Giovanni a dispetto di due sorelle «tra le quali non sembra esserci poi tutta quest’intesa, una padrona di casa autoreferenziale e l’altra un po’ dimessa e in disparte, ma proprio per questo ‘ribelle’».
Insomma questa celebrazione non ci pone davanti «a un compitino da eseguire per poi attenderne un altro, anno dopo anno, con un ‘vuoto’ di quel che la Festa dovrebbe invece determinare nelle nostre vite…». L’idea, secondo l’arcivescovo reggino, è invece la «riscoperta della nostra ‘chiamata’ personale, per verificare se il nostro ministero, a cominciare dal mio…, è davvero al servizio della gente». L’alternativa è del farsi recintare nel conformismo del «s’è sempre fatto così…», quando invece c’è l’occasione di «mostrare un volto moderno, completamente diverso del cristianesimo: non un’altra Chiesa, ma una Chiesa altra,come ci chiede sempre il Pontefice, riattivando una passione autentica per il cristianesimo».
Insomma quell’ut unum sint che «richiede ascesi personale e che può essere messo alla prova nel prendere sul serio gli organismi della partecipazione, spazi del confronto dialettico… e meno male!».
Il riferimento è dunque diretto sempre all’«autorità comunionale» e dunque alla vita ‘interna’ della Chiesa ma, come ben esposto già in partenza da monsignor Fortunato Morrone, nel contesto di un discorso «ad intra e poi ad extra». Non c’è alcun recinto, quanto alla destinazione effettiva dei suggerimenti del presule: le sue parole intendono dispiegare valore per la vita “nella” Chiesa e, in modo non differente, per la vita all’insegna dei Valori cristiani “fuori” dalla Chiesa. Un modo, un imprinting del vivificare quei Valori che, la Chiesa, «la fa ringiovanire continuamente».
A seguire, il riferimento ad amministratori e autorità si fa esplicito, col richiamo al loro «non facile compito». Dall’Ecclesiam Suam di papa Montini (Paolo VI), «la Chiesa si fa messaggio»…
E dunque l’esercizio democratico del potere «non è comando: è pacifico, paziente e generoso, non è mai imposizione».
Per cui, argomenta l’arcivescovo reggino, chi intende «tradurre l’impegno cristiano nell’agone politico» deve guardare rigorosamente a «una Politica ‘alta’, caratterizzata dal confronto costruttivo. Una Politica di cui abbiamo urgente bisogno, in questo momento di litigiosità esasperata e autoreferenziale», è il monito di monsignor Morrone.
E la sana Politica, prosegue, «non va dietro i ‘capricci’ della gente ma sa ‘rischiare’ puntando tutto sul buonsenso della gente, che sa distinguere tra il voto di scambio e i reali Valori, a iniziare da quelli spesso impercettibili per la nostra indifferenza, a cominciare dall’etimologia di questa parola, cioè ‘governo del popolo’ che non può essere distorta o camuffata dal prendere impegni impossibili da mantenere, che non possono reggere a maggior ragione nel contesto di scenari globali planetari e di pur legittimi accordi partitici.
Questo, al contrario, «alimenta una ben nota sindrome assistenzialistica che non alimenta il diventare buoni cittadini né tantomeno il prendere in mano la propria vita, generando purtroppo quella subalternità culturale che tanto male fa alla nostra mentalità calabra, talvolta nascosta anche in certi risvolti della vita ecclesiale o del rifugiarsi in alcune forme della carità cristiana. Non possiamo non segnalare interi nuclei familiari che ancora vivono ai margini della nostra città, in condizioni d’inaccettabile precarietà: se non tolleriamo i rifiuti urbani, come possiamo tollerare la visione dell’uomo-scarto? Mi appello agli amministratori perché possiamo dare tante ‘briciole’ in più, per dare agli ultimi la possibilità di prendere in mano la loro esistenza, e lo dico anche ai volontari per fare di tutto per ‘coscientizzare’ queste persone».
Non mancano interrogativi sul reale posto che occupano i giovani e le donne nella vita dell’intera comunità. «Tutti insieme – evidenzia il presule – siamo chiamati a rivelare bellezza per aiutare la città metropolitana a uscire da un’intollerabile situazione di sciatteria che a volte sembra coinvolgere tutti».
Nelle fasi conclusive del rito non manca il coinvolgimento di uno dei predecessori nel ruolo arcivescovile, monsignor Vittorio Mondello, in questo 2022 al 62esimo anno di sacerdozio.
Al termine, benedizione con indulgenza plenaria per i partecipanti al rito.