Sarà un delicato esame di laboratorio a stabilire se il virus di cui è affetto l’imputato è lo stesso che ha ucciso l’avvocata messinese deceduta per Aids a Messina. Lo ha stabilito il Tribunale che sta giudicando l’ex compagno, accusato di averle contagiato l’Hiv nascondendole la sieropositività. La sentenza per il presunto untore messinese, perciò, slitta.
La Corte (presidente Micali) ha ammesso nuove prove al processo in corso, dopo gli sviluppi dell’ultima udienza, e accogliendo parzialmente le richieste delle varie parti processuali, ha stilato una ordinanza fissando alcuni punti fermi, tra i quali quello legato alla perizia medica.
L’8 settembre prossimo, quindi, ci sarà una apposita udienza durante la quale i giudici incaricheranno un perito medico – ancora non individuato- di stabilire, attraverso il sequenziamento del Dna e la comparazione, se i due virus sono identici. Un esame che sarà fatto su provetta, andando a trovare le provette degli esami di laboratorio effettuati dall'”untore” e dalla donna negli anni passati.
Per quanto riguarda le nuove testimonianze, invece, il Collegio ha stabilito che risentirà la testimone che ha chiesto nuova audizione – un’altra donna con la quale il messinese aveva avuto una relazione e che ha l’HIV anche lei – e non risentirà invece la sorella dell’avvocatessa, parte civile al processo. La Corte vuole anche approfondire, attraverso la documentazione medica che sarà acquisita nei vari ospedali, quando sia la testimone che l’imputato hanno effettivamente avuto contezza della loro sieropositività.
Dal Tribunale partirà perciò una richiesta agli ospedali per verificare se entrambi hanno chiesto di fare l’esame per l’Hiv e quando.