Dire che nella situazione odierna, con la diffusione del coronavirus, imperi il terrore, non è un’esagerazione. Le precauzioni si succedono una dopo l’altra, da parte governativa e da parte privata; qualcuno le accetta, altri no.
Giacché ogni persona deve darsi da fare come può, voglio aiutare la nostra popolazione nel modo che a me, da storico, è più appropriato: raccontando una storia, che possa essere di giovamento per l’umore di chi legge, per la morale che contiene. Non è una storia nostra, non ha nulla a che fare con noi, ma accadde a Roma – dalla quale pur irradia importante parte della nostra cultura odierna – circa duemilasettecento anni fa; e in ogni caso, tutta la storia è tesoro, fossero anche eventi accaduti dall’altro lato del mondo.
A Roma imperversava una feroce pestilenza che non accennava a diminuire; in quel tempo regnava il successore di Romolo, Numa Pompilio. Il Re, ch’era noto per avere una straordinaria capacità di comunicazione del cielo, si rivolse ai suoi potenti alleati chiedendo immediato aiuto contro la malattia. Alla chiamata rispose Marte. Davanti allo stupore di tutti, cadde dal cielo quello che per i Romani era chiaramente uno scudo: apparentemente in bronzo, allungato e bilobato, ricevette il nome di Ancile.
Numa e tutti gli altri religiosi furono concordi che quello era lo strumento che in modo misterioso avrebbe provocato l’arresto dell’epidemia. Sicuramente parve strano e inverosimile già all’epoca, ma da quando scese dal cielo questo scudo, la pestilenza si fermò e gradualmente svanì. Numa accolse lo stratagemma suggeritogli dalla sua compagna, la dea acquatica Egeria, per proteggere la reliquia d’incommensurabile preziosità: incaricò il fabbro Mamurio Veturio di forgiare altri dodici scudi identici all’originale, e stabilì che tutti e dodici fossero custoditi sempre assieme dimodoché nessuno riuscisse più a riconoscere quello autentico, cosicché nessuno avrebbe davvero azzardato a rubarli tutti quanti erano. L’Ancile originale, perso tra le undici copie, costituì una delle sette reliquie che garantivano il potere di Roma.
Da quel momento, finché gl’imperatori cristiani non annientarono gli antichi culti, ogni 9 Marzo le strade di Roma vennero percorse dai Salii Palatini, dodici giovani sacerdoti di Marte vestiti d’un rosso solenne, che imbracciavano ciascuno un ancile e lo percuotevano con delle aste, a ricordo di come l’epidemia era stata scongiurata per l’accordo raggiunto tra il cielo e la terra. E mentre lo facevano, danzavano e cantavano un inno misterioso, il Carmen Saliare, scritto in un latino così arcaico che sei secoli dopo gl’intellettuali romani riuscivano a capirlo solo in parte. Il rito indicato con la locuzione “Ancilia mouere”, cioè “muovere gli Ancili”.
Non è inconsueto che molte feste, anche in Sicilia, traggano origine dallo scongiuro d’un’epidemia. Tutt’oggi, come avviene ora, c’è l’abitudine da parte dei sacerdoti e dei fedeli di rivolgere preghiere a una figura patrona per potere combattere le calamità. Nulla sappiamo del soprannaturale e davvero poche persone possono affermare senza mentire di conoscerne qualcosa, ma se esiste quest’altra dimensione a noi sconosciuta, certamente influisce sulla nostra realtà in molteplici maniere.
Può forse sembrare strano a chi legge ciò oggi, ma nella storia è sempre capitato che le epidemie si arrestassero improvvisamente, anche le più gravi, e in concomitanza di eventi inspiegabili. Sono state le preghiere? È stata la fede? È stato qualcosa che ci sfugge? È stato qualcosa che non conosciamo? Chiamiamoli miracoli, chiamiamole casualità, chiamiamo con che definizione vogliamo ma non cambia: è possibile.
Crederci è, prima di tutto, un enorme passo avanti; la paura, invece, arriva a essere un nemico persino più grande della malattia, nonché suo alleato.