LUNEDI’ 6 APRILE
Caro diario, chiedo scusa se non mi sono appassionata al dibattito sulle uova e sulle lattughe della mamma del sindaco. In questi giorni sto attraversando un tunnel di dolore e d’impotenza. Lo dico senza filtri.
Tutto è iniziato con un messaggio di una figlia di un’anziana della casa di riposo ricoverata per Covid. E’ stata la prima, perché dopo che ho pubblicato l’articolo, mi sono arrivati altri messaggi drammatici. Vedi, caro diario, in questo momento in cui ci lamentiamo perché non possiamo uscire (io per prima mummurio), ci sono nonni e nonne che sono stati strappati alla loro vita e si sono visti catapultati in un mondo asettico che non gli appartiene. Sono condannati ad una morte senza abbracci, senza occhi, senza mani che stringono. A me questa cosa strazia il cuore. Mi sono immedesimata in loro e nei loro figli e figlie e nipoti e generi e nuore.
La ferita della casa di riposo Come d’Incanto non guarirà mai. E non perché fossero lasciati abbandonati. Tutt’altro. Non c’è un solo familiare che non mi racconti, con emozione, come fossero trattati come a CASA. Il fatto è che, per via di questa terrificante pandemia (e di una serie di responsabilità che non sta a me accertare), sono stati “prelevati” dalla loro CASA, dal loro letto, dalle abitudini di “vecchietti” ormai abituati a quei ritmi, quasi come in un film di fantascienza. Immagino cosa hanno provato quando son venute persone coperte (giustamente) da scafandri, tute, mascherine, tipo marziani, e li hanno prelevati e portati via. Per poi ritrovarsi in un letto d’ospedale in un luogo asettico, sottoposti alle giuste cure per Covid. Praticamente come se alieni ci venissero a prelevare per portarci su una navicella spaziale per studiarci.
Questi nonnini e nonnine, molti malati da demenza senile, alzheimer, si sono ritrovati d’un tratto soli, SMARRITI, senza più punti di riferimento. Mi raccontano alcuni parenti che i loro genitori anziani sono positivi ma asintomatici. Hanno cioè il virus ma non i sintomi conclamati. In compenso hanno altre malattie per le quali adesso non saranno più curati in via prioritaria dal momento che le cure sono puntate più sul covid. “Mia madre è condannata a morire ma non dal virus. Si lascerà andare. Ha lasciato la casa di riposo che respirava da sola, mangiava, ora ha l’ossigeno, la nutrono in via artificiale. Morirà perché è sola e si sta lasciando andare”.
Caro diario penso a me, che sono abitudinaria, come starei se d’improvviso mi strappassero alla mia vita e ai miei punti di riferimento e svanissero tutti, mio marito, mio figlio. Chissà cosa prova un anziano che vive di ricordi ed è abituato ai suoi ritmi a vederli svanire d’un colpo. Un anziano per il quale la telefonata dei nipotini era tutto, scandiva il tempo, scandiva il rumore del cuore.
Ci stiamo tutti muovendo per far sì che là dove per una serie di motivi tecnici non è stato possibile, arrivi il TABLET, per mettere in contatto figli, nipoti e nonne. Sì, caro diario, il talblet, figlio di questo secolo moderno, è in questo momento la CURA per mantenere in vita chi ha smarrito il senso di ciò che accade. Da giorni penso a quella figlia che ha fatto di tutto per portare la bambola all’anziana madre (che ha perso il senso del tempo), ma non le è stato possibile per via degli “effetti collaterali” del coronavirus. Ci pensi caro diario, una bambola in questo momento potrebbe rappresentare per una nonnina un’ancora di salvataggio alla vita.
Penso a quei figli che sono stati messi al mondo e nutriti e cresciuti da mamme e papà che hanno dato l’anima per vederli felici e adesso si STANNO SPEGNENDO senza quelle mani grate che li stringono. Ecco, a me sembra inumano (e non sto dando la colpa ai medici, anzi, sono grata a tutti loro), ma mi sembra una società inumana quella che non consente, nel passaggio tra la vita e la morte, quelle mani che tornano a stringersi come il primo giorno della vita. Quando nasciamo il primo volto che vediamo è quello della mamma, le prime mani che ci stringono per dirci “non avere paura, ci sono io”, è quello di una mamma (e di un papà). Ecco, è inumano pensare che adesso quegli stessi figli non possano a modo loro stringere le mani rugose e dire “non avere paura mamma, non avere paura papà, qui ci sono io”. E lasciarli andare se devono andare.
Ecco io non dormo al pensiero che quel tablet rischia di arrivare tardi nel reparto e che quella nonna non possa rivedere gli occhi di chi, magari considera sua sorella o suo vicino perché ha smarrito la memoria, ma l’amore no. Quello non si scorda. La memoria dell’amore è eterna. Ecco, io vorrei che fosse consentito a tutti questi figli e figlie e nipoti di accompagnare col sorriso la battaglia di questi anziani. Non è detto che debba essere per forza scritto il finale. Io penso di no. Penso che si debba fare qualcosa per assicurare, oltre alle cure ufficiali anche la bambola, e la mano, e il sorriso e quella voce che non ti ricordi più a chi appartiene ma sai che è “tua”.
Così mi sono ritrovata ieri mattina davanti alla casa di riposo San Martino e ho visto quei figli e quelle figlie aspettare lì, sotto i balconi per poter vedere i loro cari ed alleviare la loro paura anche a distanza, anche dietro le mascherine. Hanno atteso per ore per stringere con i GUANTI, per un solo attimo, quelle stesse mani che tanti anni fa li hanno aiutati a muovere i primi passi . Stringere le mani che ci hanno aiutato a rialzarci almeno una volta. Stringerle forse per l’ultima volta.
Ecco, io non so come dirtelo caro diario, ma per me questa condanna a morte assurda e priva di senso è l’unica tragedia che mi squassa la vita.