«Oggi vorrei poter raccontare la mia storia. No, non è una storia unica o speciale, sicuramente comune a tanti altri in questo momento così difficile. Sono una normalissima ragazza di 30 anni. Non ho fatto nulla di grandioso o spettacolare nella mia vita, non mi sono laureata e non ho trovato, almeno fino ad ora, il lavoro giusto. Ho sempre pensato, erroneamente, c’è tempo. Quel tempo che, oggi, vorrei tanto potesse tornare indietro. E allora? Mi chiedo a cosa sia servito stare al passo di una vita tanto frenetica quanto portatrice di stress. Quello stress, sempre lì, col fiato sul collo. Questa è la domanda che, al momento, mi tormenta e chissà con quanti altri farà lo stesso.
Una domanda che non trova risposta e chissà se lo farà mai. Se non altro, chiusa in casa, ammetto che ho il tempo necessario per pensare a come combattere la paura e chissà, magari, aiutare anche qualcun altro a farlo. Ripenso a quella che è stata la mia vita fino ad oggi. Sono nata in una città del sud tanto bella quanto maledettamente disgraziata: Messina. No, non ne parlerò mai male. Amo troppo la mia terra, il mio sole, il mio mare e, nonostante se ne dica di ogni sul loro conto, amo anche le persone. E’ vero, purtroppo, le cose non vanno come dovrebbero. Ed è proprio per questo motivo che col passare degli anni mi sono trovata ad accettare, inerme, la partenza di amici, parenti e tanti conoscenti.
Io sono sempre stata, invece, una di quelle persone che non sarebbe mai voluta andare via, nemmeno sotto costrizione. Ma la vita, si sa, è imprevedibile. E così, un bel giorno, le cose lavorative sono andate irrimediabilmente a rotoli. E’ stato proprio in quel momento di sconforto che al mio ragazzo è arrivata la proposta di lavoro da parte di un’importante azienda a Parma. Ci siamo guardati negli occhi e, senza troppi giri di parole, abbiamo capito che dovevamo accettare. Con la promessa, però, che se non fosse andata bene saremmo tornati lì da dove eravamo partiti. Dando la nostra parola che un giorno, anche fossero passati 20 anni, non avremmo mai dimenticato le nostre radici.
Non avevamo una soluzione alternativa, ma eravamo comunque coscienti del fatto che era l’unico modo per poter iniziare a costruire, finalmente, qualcosa di concreto per il nostro futuro. Fino all’ultimo ho goduto di tutto ciò che mi rendeva felice: le serate con gli amici, le coccole al mio coniglietto, i bagni al mare, la mia famiglia, il rumore delle onde sulla battigia, le chiacchierate fino a tardi con un’amica. Mi illudevo che tutto questo sarebbe bastato ad alleviare il mio dolore alla partenza, ma così non è stato purtroppo. Solo Dio sà quante lacrime ho versato una volta arrivata qui a Parma.
Mi sono trovata catapultata in una città in cui non conoscevo nessuno, tutte le strade mi sembravano uguali, mi guardavo intorno e non riconoscevo nulla. Io non mi riconoscevo. Mi sentivo fuori posto. Cercavo in ogni angolo qualcosa che mi ricordasse casa mia, invece non facevo altro che vedere intorno solo enormi distese verdi e la cosa mi faceva rabbia. Avrei voluto vedere il mare, le montagne e avrei voluto sentire nel cuore quella vocina che ti sussurra: sei a casa. Col tempo poi, però, qualcosa è cambiata. No, non mi sono abituata e, sinceramente, non so se accadrà mai. Semplicemente ho iniziato ad accettare quel cambiamento che tanto mi faceva paura.
Ho iniziato a lavorare e all’improvviso non mi sono più sentita tanto sola. C’era il mio compagno a casa e non solo. Dall’altra parte del telefono ho sempre trovato tutte le persone che ho lasciato giù e che non mi hanno mai abbandonata o fatta sentire sola. Quelle stesse persone che, ad oggi, mi chiedo quando potrò riabbracciare. Me lo chiedo perché mentre tanti hanno deciso di scappare e tornare a casa, noi siamo rimasti qui a Parma.
Siamo rimasti qui soli, ai tempi di questo maledetto Covid 19, in una città che non è la nostra, a 1200 km dai nostri familiari. Siamo qui, presi dallo sconforto e da mille paure, non solo per la nostra incolumità, ma soprattutto per le persone a noi care. Lo spostamento di massa a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi non ha fatto altro che mettere, seriamente, a repentaglio la vita di tutte le persone che vivono al sud. Persone che, responsabilmente, si rendono conto del fatto che, purtroppo, in questi casi, non bastano il mare, il sole o il buon cibo per combattere il mostro. Ci vogliono le strutture adeguatamente pronte, ci vogliono tanti troppi posti letto e ci vogliono quei macchinari che, al momento, sono veramente pochi. Noi abbiamo deciso di restare qui pensando alla nostra città, al sud in generale, agli italiani e a chiunque di loro e di noi possa finire a soffrire da solo, senza il minimo conforto, in un maledetto letto d’ospedale.
Ma ancor di più penso ai miei genitori. Mio padre lavora in Pronto soccorso, ha 65 anni e con qualche piccola patologia di base. Ecco, io non posso e non voglio pensare che possa succedere qualcosa a lui o a qualche altra persona cara, mentre noi siamo qui bloccati. Vi prego, restate a casa. Possono sembrare frasi fatte, sentite e risentite miliardi di volte in questi giorni, ma non dobbiamo aspettare che la cosa ci tocchi personalmente per iniziare a seguire le indicazioni. Mettiamo da parte il menefreghismo e, soprattutto, rispettiamo tutte le persone che stanno lavorando per noi. Anche loro hanno paura e le loro famiglie hanno paura. Sono loro che, giornalmente, si chiedono se a fine giornata li vedranno rientrare dalla porta di casa in salute.
Medici, infermieri, oss ,esercito, carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco e tutte le persone che continuano, giornalmente, a lavorare lo fanno solo ed esclusivamente per il bene di tutto il Paese. Loro non si tirano indietro, piuttosto vediamo di farlo noi questo enorme grande passo indietro. Anche a me manca tanto la mia vita. Una vita che stavo, piano piano, iniziando a costruire. Sono venuta qui per avere la possibilità di un futuro migliore e non per rimanere bloccata in una bolla di paura, né tanto meno per soffrire o peggio ancora per assistere alla sofferenza di qualcuno a me caro, senza poter fare nulla.
Non c’è giorno in cui non mi svegli domandandomi : “Quando potrò tornare liberamente nella mia mia città? Quando potremo dire che è tutto finito e che siamo fuori pericolo? Quando potremo tornare a vivere quella che fino ad oggi abbiamo chiamato, comunemente, normalità?”. Sono domande a cui , al momento, non riesco a trovare risposta, ma sono quelle stesse domande che mi spingono ad andare avanti. Vivo col pensiero di rivedere un giorno, presto o tardi, la mia bella Madonnina in mezzo al mare. Siate prudenti e responsabili.
Valentina Dominici –UNA SICILIANA CHE è RIMASTA AL NORD