Seduti l’uno di fronte all’altro. Da un lato il Presidente della Regione, dall’altro l’ex leader del Pd che con un i suoi voti ha contribuito in modo determinante alla sua elezione. Il primo, chiamato a deporre come testimone, il secondo imputato.
Chi si aspettava scintille è rimasto deluso, perché tra Crocetta e Genovese le scintille sono rimaste fuori dal Tribunale, un conto è la politica un altro le vicende giudiziarie.
Nel giorno del suo compleanno Rosario Crocetta, governatore della Sicilia, è stato chiamato a deporre al processo per quella Formazione che per 3 anni ha definito come il peggiore dei sistemi. Di fronte a lui, nell’aula del Palazzo di giustizia, accanto ai difensori, si è seduto Francantonio Genovese, che per aver gestito quel sistema è imputato nel processo Corsi d’oro, insieme al cognato, il deputato regionale Franco Rinaldi. Entrambi, dopo “l’assist” che per primo diede D’Alia all’ex sindaco di Gela, fecero sì che la provincia di Messina, sul finire di ottobre 2012, portasse in dote la percentuale più alta dell’isola, il 33,68% (contro il 30,4% regionale). Quanto ai voti, in provincia di Messina, gli elettori di Crocetta furono 93 mila 995, dei quali oltre 46 mila targati Pd (l’Udc più di 26 mila). E se sin dalla campagna elettorale Crocetta non ha mai risparmiato strali, pubblicamente, nei confronti di Genovese, in Aula, chiamato a deporre, il governatore non ha esitato: “Con Genovese non abbiamo mai parlato di Formazione”.
Chi si aspettava scontri e frecciate è rimasto deluso, resta l’immagine di due destini che dal 2012 in poi hanno preso strade diverse. Da compagni di partito e di un’avventura che per la 1 volta in Sicilia ha portato all’elezione diretta di un Presidente di centro-sinistra ad avversari politici e su posizioni contrapposte anche in un’Aula di Tribunale.
“Avvocato perché ci gira intorno? Tanto vale che me lo chiede direttamente. Vuole sapere se in campagna elettorale ho avuto contatti diretti con Genovese? Se facevo riferimento a lui?”. Ha spiazzato tutti Rosario Crocetta, perchè, ed era inevitabile e scontato che finisse così, se chiami a deporre un politico su una vicenda politica, è difficile che riesca ad usare un linguaggio prettamente giuridico. All’avvocato che incalzava per sapere quel che tutti volevano chiedere, il Presidente senza tanti giri di parole ha replicato, beccandosi pure la tirata d’orecchie della Presidente del Collegio giudicante. “Io ero candidato Presidente della Regione, parlavo con i segretari regionali dei partiti non con i singoli. Sono stato sostenuto da Pd e Udc. Poi se volete sapere se conosco Genovese, certo che lo conosco”.
Due binari diversi, la vicenda processuale e quella politica, ed anche fuori dal Tribunale Crocetta ribadisce: “lo so che tutti si aspettavano chissà che cosa, ma un conto è la politica un altro è l’inchiesta. Io ho detto la verità. E’ andata così”.
Agli avvocati ed al pubblico ministero Ardita che hanno posto domande sia sulla vicenda Albert che sui rapporti con Genovese il governatore ha risposto sottolineando più volte: “non ho mai avuto sollecitazioni da Genovese né per la formazione, né per licenziare Albert. Io non sono mai stato sollecitato da nessuno, perché chi mi conosce sa bene che sarebbe inutile. Genovese sapeva bene cosa pensavo del sistema della Formazione perché lo dicevo a Messina durante la campagna elettorale. Lo dicevo pubblicamente. L’ho detto in campagna elettorale ed anche prima ed anche dopo”.
Nell’ottobre del 2012 infatti, nel Teatro Vittorio Emanuele gremito, quando fu accolto dall’Inno di Mameli suonato dagli orchestrali, Crocetta non esitò a contestare il sistema della Formazione, proprio a Messina, nel “cuore” della galassia di Enti. E continuò in ogni appuntamento elettorale in città. Anche dopo l’elezione quando diceva no ad ingressi di deputati in giunta ha sempre citato l’esempio messinese: “volevano farmi nominare assessore Rinaldi, ma lo sanno come la penso sulla formazione”. Ha trascorso gli ultimi 3 anni a non lesinare attacchi, fino a dicembre, quando con il passaggio dei genovesiani in Forza Italia ha commentato: “ormai è un partito di detenuti”. Ma sulla vicenda processuale il Presidente ha più volte ribadito una versione dalla quale non emergono ingerenze, neanche sulla mancata conferma di Ludovico Albert che negli anni della giunta Lombardo è stato il massimo dirigente per il settore.
“Io ho contestato un sistema che si è gonfiato a dismisura sin dall’assessore Stancanelli in poi. Siamo passati da 3.500 dipendenti a 12 mila, per non parlare delle cifre sui costi. Poi il governo Lombardo ha chiamato Albert con l’obiettivo di rivoluzionare il sistema e cambiarlo. Invece ha fatto solo fumo, non l’ha cambiato per niente. Prenda l’Avviso 20, ha fatto un bando per 3 anni quando non c’erano le risorse sufficienti. Io non ho confermato Albert in base al principio dello spoil system. E’ una mia decisione e nessuno mi ha sollecitato. Genovese non mi ha mai chiesto di licenziarlo, anzi, non ho mai saputo che lo avesse in odio. Albert non l’ho conosciuto e sugli atti risalenti al periodo prima della mia elezione non so che dirle. Mi interessa più gli atti che non ha fatto, e cioè cambiare il sistema. Senta, Albert è stato chiamato durante il governo Lombardo, dall’assessore Centorrino che è noto fosse vicino all’onorevole Genovese. Quando sono diventato Presidente ho deciso, applicando lo spoil system, che visto che non condividevo il sistema, di sostituirlo. Lui era stato esperto del sistema che contestavo con il governo Lombardo, è normale che io decidessi di cambiare. Ho cambiato pure il ragioniere generale”.
Alla domande se lui avesse mai saputo che alcuni Enti facevano riferimento a Genovese ed in particolare l’Ial il presidente ha risposto: “Si diceva che alcuni enti fossero collegati, ma era un dato generale. Sull’Ial non lo so. Sa cosa mi ha colpito della vicenda Ial? che la Regione aveva dato 25 milioni di euro nel 2012 eppure i dipendenti non prendevano stipendio da mesi. Questa cosa è sconvolgente, ma sapevo che i soggetti erano altri, non Genovese, lui non c'entrava”.
Tre anni dopo, la riforma della Formazione non è andata a buon fine, 8 mila famiglie del settore hanno protestato a Palermo, tra cassa integrazione, Enti non accreditati, Corte dei conti, condanne per gli extra-budget, ricorsi al Tar, il sistema è bloccato. Il Piano giovani è costato la testa dell’assessore Scilabra. Di recente c’è anche chi, tra chi gestiva Enti rimasti fuori dal circuito si è rivolto in Procura per raccontare nuovi capitoli. Il Ciapi di Priolo è diventato un imbuto non in grado di dare risposte e quel che resta, tra polemiche e lacrime e sangue, basta chiederlo a quei dipendenti che sono stati quelli che hanno pagato di più. Ma questa è tutta un’altra storia.
Rosaria Brancato