Simone Corso ha inscenato una piece di notevole impatto e spessore, davvero significante, assommando i ruoli di autore dello script, interprete e regista, con la collaborazione artistica di Adriana Mangano. Il cortile del settecentesco Palazzo Calapaj-D’Alcontres dell’intitolazione, gremito come sempre per questi spettacoli della breve ma interessante rassegna, ha ospitato questa rappresentazione incentrata sulla rievocazione dello scoglio dirimpetto al golfo di Patti, detto del Mannaro.
La prima sezione, per così dire, si è articolata dando voce ad un cuntista, nella rievocazione, 400 anni dopo, di eventi occorsi in terra di Sicilia, in quel lembo tindaritano e pattese, ove un saraceno mavaro, sempre scacciato dalla moltitudine in quanto ritenuto portatore di jella, rimasto soccombente in terra nei suoi indumenti rossi, si “vendica” a suo modo dall’aldilà, prendendo possesso dello scoglio, da dove lancia ululati terrificanti alla luna. Sono riportate in vita figure quali Ferdinando I d’Asburgo e il vescovo Arnaldo. Il cunto affascina per la capacità dell’attore di dare corpo e parole ai protagonisti della storia, che naturalmente in questa prima parte è espressa in lingua siciliana con tutta la congerie di caratteristiche assommate: immediatezza, capacità evocativa, oralità, sacralità quasi. La seconda sezione, anch’essa resa da un grande Simone Corso, ci trasporta nel 1926, quando, in epoca fascista anche in Sicilia vigeva il Podestà, e ha quale protagonista un giovane scrittore e studioso inglese, Edward Hutton, in controtendenza rispetto a eccentrici artisti del calibro di Oscar Wilde, giunto nella nostra provincia al seguito del grand tour per carpire il mistero di quello scoglio e scoprire se dietro quel mito promanante dal passato, si celasse una differente realtà. Quando potrebbe sembrare assodata una fin troppo scontata bufala, con gli abitanti di quei luoghi che in processione trasportavano, per il tramite di Padre Domenico, sulle barche viveri per omaggiare il Mannaro, e si potrebbe ipotizzare – come azzarda lo scrittore – che quei sempliciotti siano stati stati truffati con un’abile regia, la verità emerge, molto più poetica, invece, e quello scoglio, si comprende, come sia divenuto rifugio per emarginati d’altra specie, che ritrovano una propria dimensione ,con l’ausilio della popolazione locale. Don Luca Visalli, che fino all’avvento della spagnola era addetto alla pulizia delle strade, venne infatti fatto sparire a causa del ritrovamento di pozzi avvelenati e confinato in una baracca ben nascosta, in una dimora- galera , ma a contatto con le bellezze di una natura amica e il soccorso di uomini buoni.
Un’altra rappresentazione teatrale da tenere a mente per una rassegna – che ha inanellato pieces di impegno e lotta – con la direzione artistica di Roberto Zorn Bonaventura e l’organizzazione di Riccardo Bonaventura. Anche il laboratorio Horcynus Orca di Gaspare Balsamo (tenutosi dal 16 al 22 luglio) presente a questa edizione del Teatro Festival 2018 con Camurria, ha, quale evento parallelo, contribuito alla valenza di questa annata del Festival. La formula aperitivo+spettacolo+cena-buffet mi è sembrata un’ottima proposta per l’elevata qualità delle materie prime, la presentazione di piatti sempre d’effetto e il buon rapporto qualità/prezzo: il ristorante “A cucchiara”, di Giuseppe Giamboi, anche per questa esperienza, si è confermato quale punto fermo nella ristorazione cittadina.
Tosi Siragusa