“Siamo riusciti a salutarla appena un istante. Lei ci ha visto, era spaventata, ma almeno le abbiamo sorriso. Nessuno ci aveva avvisati quando sarebbe stata portata via, siamo arrivati appena in tempo, stavano portandola in ambulanza e l’abbiamo salutata. Era asintomatica e, pensi, non presentava alcun sintomo al punto che a Barcellona la dottoressa si è stupita del fatto che fosse lì. Stava bene per quanto possa stare bene un’anziana. Ora ha flebo e ossigeno, ma le manchiamo noi, si sta lasciando andare. Noi passiamo la giornata al telefono sperando che qualcuno passando lo senta e ci risponda e magari ce la passi anche solo per un momento”.
Storie di immenso dolore, storie di figli e nipoti che hanno una mamma, una nonna, portata via dalla casa di riposo Come d’Incanto e trasferita in ospedale. Sono storie che hanno in comune lo strazio del non poter dare NEANCHE una parola di conforto ai propri cari mentre affrontano la sfida più dura della loro vita. Hanno in comune le stesse ore ed ore passate in attesa di risposte che non arrivano.
“Quando qualcuno, anime buone, alla fine risponde al telefono di mia madre e ce la passa lei piange e dice: Non ce la faccio più venite a prendermi. Per noi è terribile, non sappiamo più cosa fare, abbiamo mandato pec e mail a chiunque. Inutilmente. Ripeto, mia madre era asintomatica. Ora ritengo stia reagendo, il nostro desiderio sarebbe quello di portarla in isolamento in una casa a nostra disposizione. Ma, se questo non è possibile, almeno fatecela sentire. Ci sono i nipotini che vorrebbero mandarle un bacio, ci siamo noi che vorremmo vederla, anche con una video chiamata. E’ smarrita, è senza di noi. Non è mai successo”.
Loro, i figli, le avevano regalato un telefono che usavano tutti i giorni. Fino ai divieti del coronavirus andavano a trovarla tutti i giorni. In realtà, nella casa di riposo Come d’incanto è arrivata non per una grave patologia, ma necessitava di accudimento perché non del tutto autosufficiente. Poi, in quella casa ha fatto irruzione il virus. Ed anche allora la signora ha “retto l’urto”. Nei giorni dei ritardi e della confusione, quando molte cose sono andate storte nella struttura, la signora è finita accanto ad una delle anziane contagiate (poi ricoverata al Policlinico e deceduta). Sono trascorsi ancora alcuni giorni poi il tampone è risultato positivo così è stata ricoverata al Cutroni Zodda di Barcellona. I figli, “appostati” per ore sotto la casa di riposo, sono riusciti appena a salutarla.
“Temo che gli ultimi giorni in quella casa di riposo siano stati veramente critici. Lei, e come lei anche altri anziani della Casa, sono arrivati disidratati e sofferenti. Oltre che ovviamente contagiati. Ma non è di questo che ci preme parlare. Noi vogliamo far sentire a nostra madre TUTTO L’AMORE che abbiamo, la cura, la vicinanza. Alle altre cose penseremo poi”.
Hanno scritto a tutti, dall’Asp all’equipe per il supporto psicologico emergenza Covid fino al Tribunale dei diritti del malato. Hanno fatto appello all’umanità che ancora deve esserci in chi opera nel settore sanità ricordando che si tratta di anziani non gravi che si son ritrovati, di punto in bianco, portati da una casa ad una stanza blindata di ospedale. Si son ritrovati all’improvvisoe soli con quelle tute bianche senza volto e senza più il minimo conforto o contatto con gli affetti dei propri cari.
Quelle telefonate che già prima rappresentavano il momento più bello della giornata per questi anziani, adesso sono diventate LA CURA E LA RICARICA DI VITA. E’ fondamentale ascoltare la voce di chi si ama e li sprona a non mollare ed a combattere in quella stanza asettica. Questi figli, queste figlie, questi nipoti vivono uno strazio da 11 GIORNI, da quel 27 marzo….Il personale infermieristico si è trovato sovraccaricato dall’improvviso numero di ricoveri, e, loro malgrado, hanno poco spazio per il conforto psicologico o per quelle piccole attenzioni che però sono vitali in questo momento. Ad esempio aiutare gli anziani a rispondere al cellulare.
“La cosa più terribile per noi è assistere impotenti al crollo psicologico con il rischio che muoia paradossalmente non per colpa del virus ma perché si sta lasciando andare. Vi preghiamo di aiutarci e consentirci di inviare personale, anche volontari, al centro Covid del Cutroni Zodda, perché possa assolvere l’aspetto umanitario oggi vitale, dando quel sostegno che oggi può salvare la vita e fare la differenza tra la vita stessa e la morte”