Sei anni di reclusione al costruttore Carlo Borella, patron della Demoter ed ex presidente di Ance Messina. Si chiude così per lui il processo di primo grado denominato Buco Nero, la maxi inchiesta della Squadra Mobile – allora coordinata dal vice questore Giuseppe Anzalone, sul fallimento della principale sua impresa. Un fallimento che secondo la Procura di Messina fu pilotato.
La sentenza è della Seconda sezione del Tribunale di Messina, che ha deciso una serie di condanne e numerose assoluzioni, soprattutto tra i commercialisti che operavano intorno alle aziende. In particolare è stato scagionato il noto commercialista Salvatore Cacace.
Ecco il verdetto completo: 3 anni e 4 mesi per Claudio e Federica Borella, Cristian e Manuela Mazzola; 3 anni e 5 mesi per Domenica e Letizia Borella, 3 anni e 8 mesi alla sorella Zelinda e Giuseppe Bottaro, tre anni e mezzo per Gianfranco Cucinotta, Agatino Spadaro e Patrizia Surace, compagna del costruttore; 2 anni a Daniela Lizzio, Sergio Zavaglia e Giosofatto Zimbé Zaire (per questi ultimi 3 la pena è sospesa).
Quasi tutti hanno incassato assoluzioni parziali. Assolti da tutte le accuse, oltre a Cacace, difeso dall’avvocato Carlo Autru Ryolo, i commercialisti Giuseppe Scandurra e Benedetto Panarello.
Due anni di reclusione anche per Biagio Grasso, il geometra ex braccio destro di Borella nel frattempo diventato testimone di giustizia, teste chiave al processo contro i Santapaola di Messina denominato Beta.
Hanno difeso anche gli avvocati Isabella Barone, Alberto Gullino, Manuela Mancuso, Daniela Agnello, Enrico Trantino, Nino Favazzo, Santo Trovato.
L’inchiesta parte dal concordato Demoter, la Holding della famiglia Borella da cui è “nata” la Cubo. L’impresa registrava fatturati da 60 milioni di euro ed è stata dichiarata fallita nel febbraio 2013. Il 30 gennaio 2013, su istanza del liquidatore, il commercialista Maurizio Cacace, il Tribunale aveva ratificato il concordato. Sul concordato hanno indagato l’allora aggiunto Sebastiano Ardita insieme ai PM Fabrizio Monaco ed Antonio Carchietti.
Secondo l’accusa la Demoter era stata “smembrata”, attraverso lo stesso concordato, restando peró nelle mani della famiglia, visto che le imprese, all’interno delle quali sono stati trasferiti i rami d’azienda ceduti, erano intestate familiari o soggetti ad essi strettamente collegati. Gli imputati hanno sempre difeso la regolarità delle operazioni effettuate.