Crescono spread, tassi di titoli pubblici e disoccupazione; aumenta il divario tra Nord e Sud. Scendono Borsa e PIL. Da alcuni decenni, i giovani validi fuggono da un Meridione ormai privo di una classe dirigente appena accettabile. Pagando il denaro quattro volte di più dei concorrenti tedeschi, le imprese italiane possono sopravvivere solo vendendo o trasferendosi all’estero.
Per commentatori e politici italiani, questo disastro ha un solo colpevole: Angela Merkel, Bundeskanzelrin – Cancelliera federale, al femminile, come ama farsi chiamare – della Repubblica Tedesca.
Almeno, così riportano i media, sempre pronti ad allearsi con i possibili futuri vincitori.
Ma è proprio così?
Quando, per volontà di Ciampi e Prodi e contro il parere di un’esigua minoranza di economisti come Martino, Savona e Galloni, nacque l’euro, la stragrande maggioranza dei nostri politicucci brindò alle magnifiche sorti e progressive che si aprivano per il nostro Paese. Non avevano capito che i benefici dell’euro sarebbero stati duraturi a condizione che i Governi fossero capaci di adeguare l’apparato statale e produttivo del Paese alle nuove condizioni imposte dalla concorrenza degli Stati europei più efficienti.
Sappiamo bene che queste riforme che non furono mai fatte, per la semplice ragione che sarebbero costate troppo in termini di potere proprio a coloro che ci rappresentavano e governavano.
Ciampi era, in quei mesi – come è stato Monti tra Novembre e Aprile -, l’Uomo mandato dalla Provvidenza. Guai a parlarne male. I giornali ne magnificavano l’integrità morale (che c’era tutta) e l’acume economico che, come i fatti hanno ampiamente dimostrato, era tutto da verificare.
A distanza di dieci anni si è invece capito che l’effettivo vincitore della grande battaglia dell’Euro è stato Helmut Kohl. L’unico che era riuscito a prevedere lo straordinario vantaggio che la creazione di un’Eurozona allargata avrebbe regalato al suo Paese. A danno di coloro che non avevano né i bilanci in ordine né Governi capaci di realizzare le riforme indispensabili per recuperare competitività.
Al contrario di Kohl, politici e opinion maker italiani, greci e portoghesi si lasciarono incantare da una visione romantica dell’Europa a moneta unica, in competizione con un’America in declino.
Il seguito è storia.
Certo, ormai la frittata è fatta ed è inutile rinvangare il passato ma, purtroppo, questa incapacità della politica italiana a guardare lontano rimane tutta.
Oggi la moda politico-giornalistica è dare addosso a Frau Nein che, da donna stupida, malvagia ed egoista quale viene dipinta, non vuole accettare gli eurobond e le deroghe al Fiscal Compact.
Comodo alibi delle mediocri forze politiche italiane per sfuggire alle responsabilità e scaricare le loro colpe sugli altri.
Così vediamo Bersani chiedere a gran voce che Monti batta i pugni sul tavolo di un’Europa sottomessa alla politica della Germania, Berlusconi minacciare la Merkel di far stampare euro dal nostro Poligrafico, Di Pietro pontificare che il rigore dell’Europa alla tedesca ha fallito, Casini suggerire di cambiare rotta e Grillo strillare che i Tedeschi imparino quant’è bella la decrescita felice.
Insomma, una Corte dei Miracoli che accentua la paura del futuro degli Italiani.
Al di là di simpatie e antipatie, proviamo a ragionare: che gli eurobond – cioè titoli pubblici emessi dai vari Paesi e garantiti dall’Europa intera invece che dal singolo Stato emittente – siano utili per abbassare i tassi d’interesse è cosa sicura. Sarebbe come avere un bancomat collegato a un conto corrente cointestato con chi è molto più ricco di noi. Avremmo tutto da guadagnare, ma non meravigliamoci se il cointestatario non è d’accordo
Inoltre, a parità di tassi, la Germania vedrebbe migliorare la competitività dei suoi più diretti concorrenti nelle esportazioni. Italia in testa. Chi glielo fa fare?
Quanto alle deroghe del Fiscal Compact – il Patto di stabilità sottoscritto dai 17 Stati dell’Eurozona che prevede, tra l’altro, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione e il rientro, in 20 anni, del debito pubblico al di sotto del 20% -, la Germania ha tutto l’interesse a tirare la discussione per le lunghe. Per la semplice ragione che quell’accordo rappresenta un ulteriore cappio (il primo è l’euro stesso) intorno al collo di possibili concorrenti. Italia in testa. Appare ormai chiaro che, pur di non dare ossigeno alle esportazioni italiane – sull’orlo del collasso tra costo del denaro, stretta creditizia, inefficienza delle Istituzioni (Giustizia in testa) e … terremoti -, la Germania e i suoi soci ricchi sono disposti a spaccare l’Eurozona.
Negare gli eurobond e tenere in piedi un po’ di Fiscal Compact significa garantire al Paese della signora Merkel un altro decennio di crescita e prosperità. E grossi problemi a tutti gli altri.
E’ notizia di pochi giorni fa che gli Shatz (i titolo pubblici biennali tedeschi) si vendono al valore nominale e a cedola zero. E la domanda dei mercati è il doppio del quantitativo in emissione. Cioè che chi presta 1.000 € alla Germania si vedrà restituire la stessa somma dopo due anni, senza interessi. E dovrà pure dire grazie. Saranno però 1.000 € sicuri, a differenza di quelli che prestati ai Paesi mediterranei.
Riassumendo, l’unione monetaria è servita alla Germania per tenere basso l’euro e per ottenere finanziamenti a tasso zero o quasi – preziosi nelle fasi dell’unificazione -; ora che l’obiettivo è stato raggiunto può anche andare in malora. Se poi dura ancora qualche anno – così da finire di distruggere la struttura produttiva dei Paesi concorrenti sul piano delle esportazioni -, tutto grasso che cola.
Peggio per chi – come l’Italia – si è dimostrato un utile idiota in questo grande Risiko economico.
Di fronte a questa situazione, quella di Angelona è malvagità o semplicemente una chiara visione degli interessi nazionali?