Messina- Anche questa, come le altre che stiamo raccontando è una “storia di ordinaria follia di un sistema” nel quale le riforme non vengono applicate e si preferiscono le sentenze copia-incolla, i moduli prestampati, piuttosto che decidere caso per caso. Anche questa è la storia di un amore naufragato e di una barca che affonda con gravissime conseguenze per il bambino usato come un’arma puntata contro l’ex. Anche questa, come le altre, è una storia realmente accaduta a Messina.
D. ed S. si sposano dopo 3 anni di fidanzamento. E’ D, durante i preparativi del matrimonio, a ristrutturare da solo la casa, per renderla quel “nido” che aveva sempre sognato. Trasforma la sua casa in una reggia, vasche idromassaggio, confort, videocamere di sicurezza, per ospitare quella che è per lui, una regina.
Lei è molto gelosa e possessiva. Ha avuto un’infanzia ed un’adolescenza complicata anche a causa di problemi familiari e di un ambiente che l’ha spinta a vivere diversi anni con i nonni. Il matrimonio è quindi per entrambi il coronamento di un sogno.
Dopo due anni nasce un figlio e da quel momento le cose cambiano. Lei è possessiva col bambino e preferisce che siano i nonni a curarsene quando lavora. I due litigano spesso, soprattutto per motivi di gelosia.
D. è costretto a restare nel luogo di lavoro anche di notte ed è così che si accorge che, nonostante il bimbo ancora piccolo, la moglie abbia preso l’abitudine di uscire la sera portandolo con sé. I rapporti degenerano fino alla lite definitiva in un’alba d’estate.
Di lì a poco lei chiede la separazione, ma nel frattempo si è già recata al pronto soccorso facendosi refertare e sostenendo di essere stata aggredita dal marito (in realtà, ma si scoprirà dopo, si era fatta curare per un problema dermatologico).
Contestualmente non gli fa vedere più il bambino ed i carabinieri si recano in casa di D. perché è stato denunciato per detenzione illegale di arma da fuoco e per maltrattamenti. L’arma era del padre di D. ed era regolarmente detenuta ma è bastata quella denuncia per far rientrare l’uomo nella categoria dei mostri.
“E’ iniziato il mio calvario, perché non mi ha più fatto vedere il bambino– racconta D.- Io avevo capito le sue intenzioni ed ho subito iniziato a pagare una buona cifra mensile perché per me mio figlio è la mia vita. Ero disposto a tutto”.
La guerra però era appena iniziata. La donna lavora ma al giudice presenta una lettera di licenziamento causa cessazione di attività del suo datore di lavoro. In realtà lavora in nero per chi ha rilevato quell’attività (e percepisce anche l’assegno di disoccupazione). Il magistrato condanna il marito a versare il mantenimento per lei e per il bimbo e, su suggerimento dell’avvocato della donna, vieta i pernotti del padre con il figlio.
“Io non mi sono arreso, ho scattato foto di mia moglie che lavorava, ho presentato un esposto al consiglio dell’ordine degli avvocati per segnalare alcuni comportamenti difformi alla deontologia. Ho presentato denuncia all’ispettorato del lavoro ed anche ai carabinieri per truffa allo stato dal momento che lavorava in nero. Ho fatto appello alla sentenza allegando tutto il materiale, foto comprese. Ma evidentemente a nessuno interessa sapere la verità, perché è stato rigettato. In compenso i precetti e le ingiunzioni della mia ex vengono sempre accolti”.
D. nel frattempo è stato assolto per la detenzione dell’arma (che apparteneva, regolarmente al padre) ma viene messa in discussione la sua capacità genitoriale.
Una perizia ristabilisce la verità, viene del tutto giudicato idoneo e finalmente ottiene due pernotti al mese.
“In realtà questa concessione è rimasta solo sulla carta perché la mia ex non mi ha mai fatto stare col bambino. Ho contato le volte che me lo ha negato. Sono 200 volte con una serie di scuse. La febbre gli durava fino a 20 giorni di fila…….Ho sempre denunciato queste cose in Tribunale, ma la parola di un padre non vale niente. I reati della madre non sono reati. In casa mia, per motivi di sicurezza avevo installato video camere e ho chiesto di far acquisire una serie di immagini eloquenti. Niente da fare. Quanto poi al ricorso al Pronto soccorso quando mi denunciò per maltrattamenti si è scoperto, grazie a una perizia che era ben altro e per giunta nella parte opposta a quella dichiarata lesa. Ho portato anche registrazioni audio e testimonianze di alcune aggressioni che ho subito. Niente da fare. Io per la giustizia non esisto”.
Quanto poi alle febbri che arrivavano puntuali ogni qualvolta toccava al padre stare col bambino si è scoperto che il pediatra faceva i certificati per telefono, salvo poi dichiarare che D. si disinteressava al figlio e non veniva alle visite.
D. ha anche allegato ai ricorsi 90 pagine di conversazioni whatsapp ma finora nessuno si è preso la briga di leggerle.
“Non mi consente di tardare neanche un’ora per riportarglielo. Una volta lui era stato invitato ad una festicciola ma poiché lei ha minacciato di chiamare i carabinieri se non lo riportavo alle 21, non ha potuto neanche assaggiare la torta o assistere all’apertura dei regali. Quando l’ho riportato ad accoglierlo c’era la nonna, perché lei si stava truccando per uscire con le amiche. Io mi chiedo, perché essere così intransigente con me e far soffrire il bambino se tanto stavi uscendo? Perché non lasciarmelo mezz’ora in più? Io questi gesti non comprendo”.
Adesso è in attesa della sentenza per un nuovo ricorso ma non si aspetta più nulla. In questi anni nessuno ha voluto leggere le sue carte.
“Ma non mi arrendo. Voglio chiedere un risarcimento per tutte le volte che mi ha negato di vedere mio figlio. Nulla più mi restituirà quelle ore, quei giorni, ma voglio giustizia”.
Il tempo con suo figlio è andato perduto per sempre e niente e nessuno potrà mai risarcirlo di questo. Neanche se, per puro caso, i giudici decidessero di guardare quei faldoni che in tanti anni hanno preferito ignorare.
Rosaria Brancato