Prima i rapporti travagliati con il Comune, poi anche con l’Ato3. Una storia che inizia nel 1998, lunga e tormentata, che oggi consegna una Messinambiente ridotta in macerie dopo anni di mala gestione politica, finanziaria e amministrativa. Una società in liquidazione che fino al 31 marzo dovrà ancora gestire il servizio rifiuti per la città di Messina e che non si sa ancora che fine farà perché ormai i tempi stringono e l’amministrazione Accorinti dovrà prendere delle decisioni nell’immediato. Il futuro potrebbe chiamarsi Somer o in qualsiasi altro modo, i progetti sono quelli inseriti nel piano Aro che un mese fa è stato spedito a Palermo e che prevedono la gestione del servizio rifiuti in house anche se non si sa ancora chi sarà l’erede di Messinambiente. La certezza è una società che ha sofferto profondamente e che continua ad affrontare giorno dopo giorno immani difficoltà nel far quadrare i conti perché le risorse che arrivano non bastano mai. Da anni è così. Lo ripeteva quasi come un ritornello quotidiano anche l’ex commissario liquidatore Armando Di Maria che tutti i giorni andava al Comune a batter cassa e che ha battagliato per anni con i vertici dell’Ato3. Una guerra a suon di perizie che venivano puntualmente contestate perché prima il Comune e poi l’Ato3 non riconoscevano quanto serviva realmente alla società di via Dogali per garantire un funzionamento normale in grado di garantire efficienza nei servizi, pagamenti degli stipendi e di non accumulare debiti su debiti. E quando anche sulla carta i soldi venivano garantiti poi all’improvviso il Comune decideva di tagliare per far quadrare i bilanci comunali, quasi sempre negli ultimi mesi dell’anno e quindi quando i giochi erano ormai fatti e togliere soldi significava condannare Messinambiente a non avere più copertura economica.
E’ una vicenda che nel tempo, man mano che i fatti accadevano, abbiamo sempre portato alla luce ma che probabilmente nessuno aveva mai raccontato ripercorrendo tutte le tappe, sbrogliando i fili di una matassa ingarbugliata da decine di atti e nessuna vera decisione che potesse condurre Messinambiente verso la salvezza.
Secondo il liquidatore giunto a Messina da Capannori i problemi si acuiscono nel 2006: «Proprio mentre Messinambiente diventava tutta pubblica e il socio privato usciva di scena i rapporti con il Comune di Messina, invece di divenire più facili ed implementare i meccanismi del cosiddetto “controllo analogo” che l’amministrazione deve avere sugli enti che possiede interamente e cui affida il servizio tramite gara con affidamenti cosiddetti “in house”, divengono più complicati e oggetto di contenziosi». Ciacci ricorda che a regolare i rapporti tra Messinambiente e il Comune di Messina e in seguito anche con Ato3 sono l’originaria convenzione del 1999, il Lodo Arbitrale del 2004 che comportò il riconoscimento di un credito a favore di Messinambiente di oltre 27 milioni di euro, la transazione del 2005 con il Comune e quella del 2007 con Ato3 ed elenca tutte le perizie, sempre disattese e rimodulate, che dal 2004 al 2013 hanno segnato la vita di Messinambiente.
«Messinambiente è interamente del Comune di Messina, ciò nonostante nel contestare le varie perizie, redatte unilateralmente dall’Ato3, ha sempre messo in evidenza il mancato rispetto degli unici atti che dovevano regolare i rapporti tra le due partecipate. Si evidenzia, inoltre, il non rispetto da parte dell’Ato3 dell’obbligo (previsto dalla convenzione ma anche dalla normativa nazionale e regionale) di garantire l’equilibrio economico-finanziario dei conti del soggetto affidatario del servizio, ovvero di Messinambiente, e la conseguente pesante situazione economica e finanziaria di Messinambiente che si è aggravata nel tempo e che, non affrontata dalla proprietà (il Comune di Messina) così come più volte richiesto, ha comportato la distruzione del patrimonio della Società e quindi la messa in liquidazione della stessa società».
Di tre tipologie le cause, non ancora superate, che secondo Ciacci sono alla base di questo disastro: amministrativa, economica e politica. In particolare:
«Amministrativa. Per il mancato governo da parte del Comune che, oltre ad essere il proprietario quasi totalitario di Messinambiente ed Ato3, è pure il titolare primo del servizio di smaltimento dei rifiuti, rientrando tale servizio tra quelli essenziali che vanno garantiti ai cittadini.
Economica. I problemi di natura economica che il Comune, come altri Enti locali, ha da anni (si ricorda che la prima volta che il Comune non riuscì a coprire i costi del servizio svolto da Messinambiente fu nel 2003 quando non saldò il servizio relativo ai mesi di novembre e dicembre).
Politica. Forse la principale. Sono proprio le modalità e lo spirito con cui sono state delegate all’Ato3 le competenze del Comune nel campo della gestione dei rifiuti con la deliberazione del Commissario Straordinario 21 maggio 2004. Tale deliberazione stravolse quanto previsto da quella del 2002 (che altro non era che lo schema deliberativo previsto dall’Ordinanza del Commissario per l’Emergenza Rifiuti in Sicilia n.) che prevedeva, tra l’altro, la delega all’Ato delle competenze del Comune nel campo della gestione dei rifiuti comprese le funzioni amministrative e fiscali, comprese le procedure di affidamento dei relativi servizi ma non l’affidamento di questi ultimi all’Ato. Invece, furono affidati dal Comune di Messina servizi proprio all’Ato in contrasto con la normativa che era ed è improntata al principio della netta separazione tra la programmazione, il controllo e l’affidamento da un lato e la gestione operativa dall’altro».
Stangata anche sulla decisione del Comune di Messina di aver costituito l’Ato dotandolo di personale, pur avendo il territorio coincidente con l'ambito territoriale ottimale, e di non aggiungere tali costi al ciclo dei rifiuti che, nel 2004, senza Ato, costava già 39,5 milioni di euro.
Il 1 ottobre 2013 la Regione chiude l’era Ato per fare spazio alle Srr e dunque la piena titolarità̀ della gestione dei rifiuti e del rapporto diretto con il gestore del servizio torna nelle mani del Comune. Ma anche in questo caso cosa accade? «Palazzo Zanca ha continuato ad avvalersi dell'Ato3, dei suoi costi e delle sue logiche per determinare le perizie di finanziamento del servizio in modo unilaterale, senza cioè accordarsi con Messinambiente. Così facendo ha di nuovo determinato un danno alla società».
Ricominciano i balletti delle perizie, le contestazioni per le risorse insufficienti, fino ad arrivare al passaggio del testimone tra Di Maria e Ciacci e al tavolo tecnico tra il Dirigente del Dipartimento Sanità e Ambiente e i tecnici di Messinambiente nel quale si determinava, sulla base dei servizi richiesti, un costo di circa 3,2 milioni al mese, contro i 2,3 fino a quel momento riconosciuti. Il Comune però agisce ancora una volta unilateralmente e senza alcuna spiegazione e approva un finanziamento pari a circa 2,8 milioni al mese. E questo nonostante l'impegno preso in sede di assemblea dei soci del 19 marzo di incaricare alla guida della società Alessio Ciacci, garantendogli come da progetto condiviso un importo di almeno 3 milioni al mese. Nei mesi successivi è andata anche peggio. E’ sempre Ciacci a sottolineare come anche durante la sua gestione, per il periodo luglio-dicembre 2014, anche la giunta Accorinti, sulla base della perizia fatta dal Dirigente del Dipartimento Sanità e Ambiente, ha finanziato i servizi svolti da Messinambiente per un importo di circa 2,3 milioni al mese senza rivedere né i servizi richiesti, né il loro ridimensionamento.
Un quadro sconfortante che però inchioda ognuno alle sue responsabilità. O quantomeno è questa la verità che Alessio Ciacci ha ricostruito in questi mesi di lavoro negli uffici di via Dogali. La certezza è che la crisi senza via d’uscita di Messinambiente è sotto gli occhi. E di certo dei responsabili esistono.
Francesca Stornante