MESSINA – Una settimana d’ordinaria follia o shock a Messina. Conflitti, palesi e sotterranei, tensioni, scontri verbali, parole forti. La necessità è che, al diluvio di parole, si sostituisca una stagione di frasi ponderate e fatti, concretezza, per portare la città fuori da un’eterna crisi. Nella gradualità. Nessuno pretende la bacchetta magica. In particolare, sono stati sette giorni segnati dall’addio clamoroso della senatrice Dafne Musolino al movimento di Cateno De Luca, con tutto quello che, in termini di dichiarazioni e scontri, ne sta conseguendo.
Sia chiaro, come stabilisce l’articolo 67 della Costituzione, “ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Tuttavia, la crisi dei partiti ha reso questi migrazioni frequenti e spesso sconcertanti agli occhi degli elettori. A prescindere dal passaggio dell’ex assessora a Italia Viva di Matteo Renzi, mentre l’alleanza di centro a livello nazionale sembra sempre più in salita per De Luca, esiste un problema. Manca il senso d’appartenenza a partiti e idee.
Sono le porte girevoli della politica. In assenza di solidi ancoraggi sul piano del pensiero politico, dell’organizzazione e del confronto delle idee fra dirigenti, militanti ed elettori in generale, mentre le segreterie rimangono chiuse, prevalgono i comitati elettorali. Ognuno rappresenta solo sé stesso. Qualsiasi orientamento è passibile di modifica: un giorno si è progressisti; un altro giorno conservatori. Domina un pragmatismo privo di una visione più ampia.
Il fallimento o l’attuale insuccesso, in relazione a De Luca, è nella costruzione di un partito slegato dalla figura, “dittatoriale” secondo Musolino, del lider maximo. Dopo le regionali, il capo di Sud chiama nord e Sicilia Vera aveva evidenziato: “Il movimento non si chiamerà Cateno De Luca, si aderisce, ci si iscrive, si deve formare una classe politica, voglio tornare ai meccanismi dei partiti di un tempo, coinvolgendo in una lista i giovani. Voglio formare la classe dirigente del futuro, con percorsi di militanza. Iscrizioni, gruppi di liberazione, dibattiti, manifestazioni per scendere in piazza”.
Tuttavia, dalla Brianza a Taormina, De Luca ha imposto la sua tendenza di eterno candidato e sindaco. Il tutto in attesa di capire, in vista delle Europee, se la sua forza politica rimarrà in ambito regionale o sarà anche nazionale. Nel frattempo, la maggioranza del Consiglio comunale di Messina pro Basile si è ridimensionata e si registra un maggiore equilibrio in aula.
Dal caso Previti al caso Musolino, De Luca si dimostra meno abile nella costruzione politica post elezioni, una volta finita l’adrenalina della campagna elettorale. Senza dimenticare il congedo del capogruppo Geraci all’Ars, in direzione Lega.
Altra questione spinosa: la vicenda dei rimborsi al rettore Cuzzocrea, nella sua attività di ricerca, sollevata dal membro del Senato accademico Paolo Todaro. Se il presidente della Crui, Conferenza dei rettori delle Università italiane, è chiamato a chiarire nell’ambito della politica universitaria, non solo in campo legale dopo la nota di Todaro, come chiunque rivesta ruoli di responsabilità, è fondamentale che le elezioni per il nuovo o la nuova rettrice non siano una guerra tra veleni. Cosa che gli stessi candidati, Limosani e Spatari, hanno sottolineato.
L’Università, così come la politica, hanno bisogno di minori personalizzazioni, a vantaggio del gioco di squadra. Meno scontri sotterranei e più trasparenza e conflitti di idee e progetti. Si sia rigorosi sul piano delle responsabilità individuali, perché chi governa è chiamato sempre a rispondere alla comunità di riferimento, sia elettorale sia accademica, ma si faccia anche un salto di qualità nella visione collettiva. Messina ha bisogno di volare alto e di un gioco di squadra, a tutti i livelli, che la porti fuori dal pantano. Subito.