Quattro ditte tra cui l’impresa di onoranze funebri Stracuzzi della zona Sud, un fabbricato e diversi rapporti finanziari per un valore complessivo di 5 milioni di euro. E’ questo il bilancio del maxi sequestro che, stamattina, ha stangato il patrimonio di Giuseppe Pellegrino, noto pregiudicato messinese legato al clan Sparacio nonché a quello degli Spartà.
Il provvedimento scaturisce da una serie di indagini che gli uomini della Direzione Distrettuale Antimafia, coordinati dal capo sezione Michele Viola, hanno effettuato sui redditi di Pellegrino e della famiglia, nonché sulle ditte finite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti.
“Quello di Pellegrino è curriculum penale che affonda le radici negli anni 90”, ha affermato il Sostituto Procuratore Maria Pellegrino, titolare dell’inchiesta, durante una conferenza stampa che si è svolta stamani nei nuovi locali della Dia di Messina.
La famiglia Pellegrino ha iniziato la sua ascesa nella zona Sud, in particolare a Santa Margherita, tra gli anni ’80 e ’90, andando fin da subito a scontrarsi con la famiglia antagonista dei Vitale. Una guerra di mafia, la loro, contro cui la magistratura e le Forze dell’Ordine si imposero con l’operazione Faida, infliggendo allo stesso Giuseppe Pellegrino una condanna di 30 anni di carcere (che sta attualmente scontando).
I contrasti tra le due famiglie sfociarono, l’8 febbraio 1990, nell’omicidio di Giovanni Pellegrino (fratello di Giuseppe) per mano di Nicola Vitale (che comunque fu assolto dalla Corte d’Assise per aver “agito in stato di legittima difesa”).
L’uccisione di Giovanni non fece altro che inasprire la guerra tra i due gruppi rivali dando vita alla cosiddetta “stagione dell’alleanze mafiose”. La famiglia Vitale trovò appoggio nel clan capeggiato dal boss”Giorgio Mancuso, mentre quella dei Pellegrino si schierò con le cosche di Sebastiano, detto Iano, Ferrara e di Luigi Sparacio.
Giuseppe Pellegrino rimase coinvolto anche nelle operazioni “Margherita”, “Supermercato”, “Domino” e “Albatros”, mentre i fratelli Nicola e Domenico subirono una confisca patrimoniale di 50 milioni di euro per la vicenda delle imprese edili che utilizzavano forniture di calcestruzzo depotenziato.
Come emerso dalle indagini, un altro settore in cui riuscì a inserirsi Giuseppe Pellegrino fu quello delle onoranze funebri della zona Sud di Messina. Secondo quanto accertato dagli uomini della Dia, nonostante fosse dietro le sbarre del carcere, lui stesso riusciva a gestire gli “affari” attraverso colloqui con i fmailiari. L’obiettivo era quello di consentire al figlio Manuel Giuseppe di inserirsi agevolmente in questo lucroso settore.
Per farlo, Pellegrino poteva contare su numerose “alleanze” fatte a Gazzi, tra cui quella con il gruppo catanese della famiglia D’Emanuele, facente parte dei Santapaola.
Recentemente, Pellegrino è stato colpito da un’altra ordinanza di custodia cautelare poiché ritenuto uno dei mandanti dell’omicidio di Francesco La Boccetta. (Veronica Crocitti)