MESSINA – Ai Magazzini del Sale lo spettacolo “Dicotomie (Al buio le donne sono tutte uguali)” di e con Roberta Amato e Alice Sgroi, assistente alla regia Gabriella Caltabiano.
“Giusto un sabato”, brioso rendez-vous ai Magazzini del Sale, giunge per il 2023 alle battute finali con una performance frizzante e due esemplari interpreti a fronteggiarsi in uno spettacolo nello spettacolo, altresì scritto e diretto a quattro mani dalle stesse artiste Roberta Amato e Alice Sgroi. Si diceva della rappresentazione, anzi del momento prodromico di una prima prova teatrale, nei camerini, ove intercorre lo scontro agito in scena.
Il focus è su Clara e Melania, in apparenza agli antipodi proprio (e anche il loro abbigliamento, come le fattezze, sono appositamente assemblati per contrasto) da sole in scena – Eva contro Eva si direbbe – ma che nell’inevitabile raccontarsi, fra un cipiglio e l’altro, disvelano modi di essere più similari di quanto “prima facie” sembrerebbe, al di là di quanto lascino trapelare.
Clara, giovane, bruna, morbida, salutista, perennemente a dieta, camicetta e gonna, tacchi alti, trolley giallo modaiolo, esibisce una certa ricercatezza, coniugata e tradizionalista, ingenua e non di certo un’intellettuale….si contrappone a Melania, un po’ più avanti con gli anni, bionda, magra e tonica, con comoda sacca al seguito , amante del cibo/spazzatura, di nero vestita ,una tuta attillata e comodi anfibi,( che vengono quasi subito dismessi in favore di nere pantofole di pelo), aspetto e anima (sembrerebbe) rock, disinibiti e irriverenti, single, coriacea e con pose da intellettuale. E anche i cambi d’abito, prima delle scene finali, confermano il loro apparire sideralmente agli opposti, finchè la loro fermezza e le connotate convinzioni tutte d’un pezzo, dietro la cortina di una corazza che, nei rispettivi monologhi(riuscitissimi) si va però pericolosamente sgretolando, fino a crollare, cedono il passo alle loro inadeguatezze, ai disagi, le insicurezze, in una parola, alle autentiche fragilità al cospetto di un sistema che richiede giovinezza, prestanza, magrezza, e financo il sacrificio degli affetti personali. Si ride, ma con amarezza di fronte a quelle confessioni che ci travolgono come un fiume in piena, rivelando intensa sofferenza e pena del vivere. Il tutto è alleggerito da mordace ironia, inserti performativi e musicali.
Il maschio è assente in scena, ricopre un ruolo di certo importante, di direzione, ma si limita a far udire una voce fuori campo (quella sapientemente costruita dell’Artista Nicola Alberto Orofino), che ricorda alle due i comportamenti consoni ,gli oggetti da avere con sé, anche in funzione anti-iella(il sale, tanto sale),una banana, etc…Non risulta ben chiaro se vuol definirsi, attraverso una descrizione di tal fatta, anche la funzione registica in teatro, essenziale, ma non dirompente. Il direttore, (maschio, secondo una tradizione vetusta e fortunatamente superata, e, infatti, la co-direzione è delle Nostre Artiste) in ogni caso, apre e chiude, con i suoi misurati interventi, il momento delle prove.
Le attrici, entrambe abili protagoniste alla pari, paiono restituire i rispettivi ruoli, e, si sa, in teatro, come sul palcoscenico dell’esistenza, c’è posto per una primadonna “tout court”. E allora?
Di sicuro emerge come non vada bene questa rappresentazione polarizzata, ove l’individuo è sempre estremizzato e per la femmina poi…. i poli sono quanto meno distanti, la madonna e la puttana, la madre di famiglia e la frivola, sideralmente opposti nelle narrazioni, ieri come oggi.
L’umanità è però anche sfaccettata e il femminile di questa poliedricità porta la bandiera, espressione come è di un multiverso, che rifugge da facili definizioni e caratterizzazioni.
Il malessere dei nostri tempi germina anche da questo frequente racconto per stereotipi e, invece, c’è sempre un trait d’union tra categorie, fra donne che appaiono divergenti, né bianco, né nero…l’universo Donna è ricco di colorazioni e sfumature, probabilmente più del genere maschile. Anche la narrazione di una necessaria rivalità femminile, sul lavoro, come nei rapporti interpersonali, sovente è solo di facciata, la realtà è, invero, più fluida, e probabilmente i conflitti, di certo in rappresentazione dilatati, tornano tutti a favore del maschio conteso, che se ne avvantaggia.
La scenografia riporta al meglio, con perfetto uso della illuminazione l’ambientazione dei camerini teatrali, con un tavolo, ove ciascuna attrice ripone, a segnare il proprio territorio la propria merce, e un posacenere a demarcare i rispettivi spazi, rigorosamente identici, e uno stand con abiti per i diversi cambi.
E, dopo la pièce, partecipata e applaudita, momenti di condivisione, con buon vino rosso e sani manicaretti. In attesa della prossima edizione, un felice confronto di sensazioni ed emozioni.