Distribuito nelle sale statunitensi nell’agosto del 1987, Dirty Dancing, regia di Emile Ardolino, è ambientato più di venti anni prima, come la voce della protagonista racconta subito al pubblico:
Era l’estate del 1963, tutti mi chiamavano ancora Baby, e a me non dispiaceva affatto. Era prima che uccidessero Kennedy, prima dei Beatles, quando io credevo nell’impegno civile, e soprattutto quando mai avrei pensato che al mondo potesse esistere un altro uomo oltre a mio padre. Era l’estate in cui andammo in vacanza da Kellerman…
Max Kellermen è il proprietario e direttore di un villaggio turistico dove la diciassettenne Baby (Jennifer Grey) si reca insieme ai genitori e alla sorella per trascorrere una villeggiatura di tre settimane. Subito dopo l’arrivo, Baby assiste per caso a una riunione tra Kellerman e i dipendenti del villaggio, scoprendo una strana regola. Mentre camerieri e animatori – figli della borghesia americana, impegnati in un’esperienza di lavoro estiva prima di andare all’università – sono incoraggiati dal direttore a invitare le ragazze a uscire, agli “artisti”, cioè gli insegnanti di ballo, è proibito avvicinarle al di fuori delle lezioni di mambo e cha cha cha.
Come lo spettatore è portato a intuire, Baby si rivelerà più attratta proprio dal mondo degli artisti, fatto di feste danzanti segrete negli sgabuzzini e nascoste agli ospiti, che da quello, apparentemente più lucente, dell’animazione ufficiale. In realtà, molti degli appartenenti alle “buone famiglie” americane si riveleranno tutt’altro che dei veri gentlemen.
Dirty Dancing è infatti un’opera che affronta il sociale – naturalmente per quanto può affrontarlo un film musicale – ponendo lo spettatore davanti ai temi dell’aborto, della responsabilità e del pregiudizio. L’emozione che il pubblico prova davanti a piccole e grandi ingiustizie, insieme alle coreografie scatenate e alla storia d’amore tra Baby e il ballerino Johnny Castle, interpretato da Patrick Swayze, ha reso il film un vero cult, che continua a ottenere buoni risultati a ogni riproposizione televisiva.
È ormai entrata nell’immaginario collettivo la canzone principale del film, (I’ve Had) The Time of My Life, interpretata da Bill Medley e Jennifer Warnes e vincitrice dell’Oscar per la Miglior Canzone. Da ricordare anche i brani Love Is Strange e She’s Like the Wind.
Nessuno può mettere Baby in un angolo (in originale Noboy puts Baby in a corner), pronunciata da Patrick Swayze, è stata inserita dall’American Film Institute al 98esimo posto della classifica delle migliori citazioni cinematografiche di tutti i tempi, ma è legittimo supporre che sia più nota, almeno per il pubblico italiano, di diverse battute che la precedono in classifica.
Nonostante gli ottimi incassi del film, lo studio di produzione Vestron dovette dichiarare bancarotta nel 1990 a causa dei successivi flop. I due protagonisti rimasero incastrati sotto il peso dei loro personaggi, e Patrick Swayze impiegò anni a rilanciare la propria carriera, cosa che invece non riuscì a Jennifer Grey. Il regista Emile Ardolino morì nel 1993 a cinquant’anni a causa dell’AIDS, dopo aver diretto Sister Act, e lo stesso Patrick Swayze scomparve nel 2009, prima di compiere sessant’anni, dopo essere stato colpito da un cancro al pancreas.