In data 14 maggio l’assemblea di Montecitorio ha approvato, con 386 sì, 19 astensioni e nessun voto contrario, la proposta di legge n. 506-A, recante “Modifiche dell’articolo 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898”, presentata dalla deputata Pd Alessia Morani, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile.
Oltre a M5s e Lega, hanno votato a favore anche Pd, Forza Italia e Leu. Unici ad astenersi i deputati di FdI.T
Spiega il sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone: “l’obiettivo è quello di aggiornare e migliorare questa materia rispetto a una realtà sociale certamente mutata nel corso degli anni , arrivando ad un intervento normativo che superi la visione patrimonialistica del matrimonio quale sistemazione definitiva. Non è infatti da ritenere più attuale il riferimento al tenore di vita goduto durante il matrimonio come parametro per la determinazione dell’assegno in esame.”
L’assegno di divorzio sarà modulato attraverso nuovi criteri: si dovrà tenere conto del reddito e del patrimonio di entrambi i coniugi, della durata del matrimonio stesso, dell’età e dello stato di salute di chi richiede l’assegno, della “ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive” e anche della mancanza di qualifiche professionali non conseguite a causa dell’osservanza dei doveri coniugali da parte del richiedente, dell’apporto del singolo coniuge “alla conduzione famigliare e alla formazione del patrimonio comune” ed infine delle condizioni dei figli a carico se minorenni, disabili e non indipendenti dal punto di vista economico.
Senza sminuirne il valore innovativo, è bene precisare che la nuova proposta di legge più che una vera e propria rivoluzione, rappresenta piuttosto una messa in ordine di tutte le sentenze pronunciate dalla Suprema Corte di Cassazione, che negli ultimi anni hanno inciso sulla realtà sociale ma spesso creato parecchia confusione in materia.
Molte di quelle annunciate come novità sono in realtà tutte già patrimonio della giurisprudenza, già a partire dal 2017 con la sentenza Grilli che ha sepolto il tenore di vita come indicatore dell’assegno di mantenimento.
Per la quantificazione di un assegno di divorzio già oggi si tiene conto dei parametri indicati dalla legge: la durata del matrimonio, l’età e lo stato di salute dei richiedenti, le capacità economica e patrimoniale delle parti al termine del matrimonio, il contributo dato da ciascuno.
Anche la previsione della perdita dell’assegno in caso di nuove nozze è già presente nella nostra giurisprudenza. Tutt’al più una vera e propria novità è rappresentata invece dall’equiparazione della stabile convivenza alla nuove nozze: la perdita dell’assegno non consegue solo alle nuove nozze dell’ex coniuge, ma anche quando questi, senza contrarre matrimonio, avvii una stabile convivenza con un nuovo compagno.
L’elemento che si presenta come davvero nuovo è l’assegno divorzile a tempo. Il tribunale potrà predeterminare la durata dell’assegno. Tale soluzione vale per i casi in cui la ridotta capacità reddituale del coniuge che chiede l’assegno sia dovuta a ragioni contingenti e superabili; conseguentemente non appena il richiedente recupera una posizione economica sufficientemente stabile, non avrà più diritto all’assegno determinato per quel periodo di tempo.
E il tenore di vita uguale a quello mantenuto durante il matrimonio? Viene definitivamente superato. Oggi l’assegno divorzile ha una natura composita: ha una funzione assistenziale e insieme compensativa e perequativa in caso di grandi differenze di reddito.
Federica Cacciola