“Alla luce del decreto legislativo 50/2016, gli incarichi legali potrebbero essere considerati appalti, perdendo la loro fiduciarietà. Chiedevamo solo un rinvio per verificare se il regolamento approvato avesse ragion d’essere o fosse illegittimo. Così non è stato”. Arriva a stretto giro la replica dell’opposizione di Barcellona pozzo di Gotto sul tema del regolamento per gli incarichi legali. A parlare è Antonio Mamì, consigliere di Avanti con fiducia.
“Il problema riguarda una questione pregiudiziale di legittimità” – spiega Mamì – “se gli incarichi legali vanno trattati come appalti, la competenza per il loro affidamento spetterebbe a un dirigente e non alla giunta. Noi abbiamo chiesto il rinvio del dibattito per avere un parere dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), così da essere sicuri della corretta interpretazione della norma. E questo è stato anche il motivo del ritiro delle firme da parte dei consiglieri Bongiovanni e Imbesi”.
Ma ci sono state divergenze anche sul metodo e sul merito che ha portato all’approvazione del regolamento. “Si è giunti al voto di ieri dopo una lunga mediazione che aveva coinvolto maggioranza e opposizioni, salvo poi trovarci in consiglio con un maxi-emendamento che stravolgeva le basi degli accordi politici” – insiste il consigliere – “nel merito, contestiamo poi l’eliminazione della rotazione all’interno di una stessa sezione dell’albo di iscrizione dei legali, cosa che consentirà, come sempre, di attribuire più incarichi al medesimo avvocato, prima che tutti gli altri ne ottengano uno”.
Mamì replica poi alle accuse di essere contro la regolamentazione stessa degli incarichi. “La questione del regolamento è stata sollevata proprio dalla nostra opposizione, con in più la firma del consigliere Paolo Pino. Non vedo quindi come si possa pensare che siamo contro un regolamento da noi stessi sollecitato. Ma, alla luce del d.lgs. 50/2016, ho ritenuto inutile emendare un regolamento che personalmente ritengo illegittimo; inoltre, mi è parso evidente che la maggioranza volesse votare il proprio regolamento, emendato a piacimento. Se davvero i miei emendamenti erano condivisibili, un consigliere avrebbe potuto farli propri; così non è stato”.
Giovanni Passalacqua