Lavoro

“Dopo una vita di lavoro nero sogno di non finire con la pensione sociale”

MESSINA – No, il lavoro nero non è dei migranti soltanto. Né soltanto del settore edile. Né è praticato solo da messinesi. Il lavoro nero è più diffuso di quanto si pensi. E addirittura si trasmette di generazione in generazione.

Lo raccontano tante storie di donne, giovani e meno giovani, messinesi o del Messinese, che stanno provando con tutte le loro forze a uscire dal lavoro irregolare e trovare una strada per un’esistenza “normale”. Nel frattempo restano anonime, perché intanto devono sopravvivere come possono.

Il titolare “scomparso”

Una signora qualche anno fa aveva finalmente trovato il lavoro che cercava, come segretaria amministrativa in una ditta il cui titolare non era messinese. Veniva pagata in nero – «mi aveva assicurato che presto mi avrebbe messo in regola» – ma aveva fondate speranze per il proprio futuro. Peccato che, “grazie” al Covid e ai ristori per le imprese, il titolare abbia fatto fagotto e sia letteralmente scomparso, con le “missive” del tribunale che l’hanno cercato invano ai suoi indirizzi di domicilio e residenza. E il risultato è stato un bel po’ di mesi lavorati e non pagati e un contratto che non si è mai stipulato.

Niente stipendio, niente figli

Una giovane donna oggi vorrebbe fare un figlio ma con un marito stagionale e lei banconista totalmente in nero, non c’è quel minimo di sicurezza su cui poggiare la famiglia. La conseguenza? «Dobbiamo decidere che fare. Vorremmo restare, ma questa non è vita. Anche andare via, però, non è facile senza un centesimo». Per ora restano impantanati nella loro quotidianità. «Ma lo sappiamo che così non si può continuare».

Anche perché, quando va bene ci sono poche ore “contrattualizzate” e molte altre lavorate in nero, e quando il lavoro finisce «anche l’indennità di disoccupazione è minima, perché è basata solo sulle ore “regolari” e non ci si può di certo vivere. Così una deve subito cercarsi un altro impiego, altrimenti non mangia».

“Tornare è stato uno sbaglio”

C’è la trentacinquenne originaria della provincia che si era trasferita a Milano. «Ho cominciato a lavorare ai tavoli nelle isole Eolie, da ragazzina. Mi è piaciuto il lavoro e anche il contatto con la gente. Purtroppo non ho studiato. Oggi me ne pento ma a quel tempo dovevo per forza darmi da fare per guadagnare perché in famiglia i soldi servivano e io dovevo essere indipendente il più possibile. Ad un certo punto sono andata al Nord. Sono rimasta lì per anni. Ma non è che le condizioni fossero molto migliori di quelle che avevo a casa. Nel frattempo riuscivo a venire a trovare i miei soltanto ogni tanto. Ho deciso di ritornare a Messina. E ho fatto lo sbaglio più grande della mia vita. Qui c’è sempre meno lavoro e quasi sempre in nero».

“Mi metto in regola da me stessa”

C’è la quarantenne che, dopo aver lavorato dovunque, ristoranti, negozi, bar, ditte, oggi vorrebbe studiare e acquisire un certificato e le competenze informatiche, per cercare di migliorare sé stessa e trovare un’occupazione diversa dalla sua attuale. Che è quella di fare le pulizie per privati. Ma il suo sogno è quello di riuscire ad avere un “giro” giusto di lavori domestici, «perché, tranne rarissime eccezioni, con le persone e le famiglie mi trovo bene. Pagano quanto pattuito, allo scadere delle ore di lavoro, e non fanno come tutti gli altri datori di lavoro che ho avuto, che mi pagavano un mese, due mesi, spesso in ritardo, poi non mi pagavano per qualche mese, e quando mi andava bene, i mesi “saltati” li recuperavo un anno dopo, o ancora più tardi».

Il suo sogno? «Avere abbastanza clienti da poter aprire una partiva Iva mia. Visto che nessuno mi mette in regola, vorrei mettermi in regola da me stessa. E non fare la fine di mio padre, che ha lavorato nella ristorazione per tutta la vita, sempre in nero, e oggi, che è vecchio e sta male, vive con la pensione sociale».

“Penso di denunciare”

In tante si sono rivolte ai sindacati. «Io non so parlare bene. Certe cose non le capisco. Il sindacato mi sta aiutando a ottenere ciò che mi è dovuto», dice una.

«Sto seriamente pensando di sporgere denuncia verso l’ultimo titolare per cui ho lavorato», dice un’altra. «Pensi che un giorno è venuta un’ispezione e l’hanno costretto a fare il ricalcolo di quanto mi doveva alla fine del periodo di lavoro. Ancora aspetto il versamento».

«Ci dicono che sbagliamo noi ad accettare il lavoro nero. E che lo accettiamo per nostra convenienza. Ma non è vero. Ci sarà pure qualche lavoratore, uno su mille, che accetta per proprio interesse. Ma tutti gli altri no. Lo accettiamo perché se denunciamo non troviamo più lavoro e come facciamo ad arrivare a fine mese?».

E i datori di lavoro? «Ecco – conclude un’altra – ci sono quelli bravi, ma sono pochissimi. E quelli bravi mi hanno potuto offrire solo contratti a tempo, che naturalmente ho accettato. Lo capisco, anche gli imprenditori sono tartassati. Ma diciamocelo chiaramente: ci sono tanti che invece approfittano. Io dico: non ti puoi permettere quattro commessi? Non li prendere. Lavora tu di più, nel tuo bar, nel tuo ristorante, nel tuo negozio. E magari prendi un solo commesso, ma con tutto in regola. Quel commesso avrà una vita dignitosa e dovrà lavorare come si deve. Non sarebbe meglio per tutti?».

In evidenza foto di LicorBeirao da Pixabay.