Riforma delle province, commenti di giubilo per quello che è invece il fallimento della politica

Tempostretto non ha pubblicato le reazioni di giubilo e i commenti dopo l’approvazione all’Ars della riforma delle province. Non abbiamo dato spazio a nessun tipo di dichiarazione per una serie di motivi, il primo dei quali è fondamentale: una riforma votata dopo 2 anni è il fallimento della politica, pertanto l’unico commento da fare sarebbe un dignitoso silenzio e le scuse ai siciliani.

Crocetta ha abolito le elezioni per le Province nella primavera del 2013, mandando a casa, adducendo motivi di “spending review” i consigli provinciali e le giunte e annunciando entro pochi mesi la riforma epocale. Nel frattempo ha disseminato gli Enti di commissari scegliendo tra quelli a lui più legati (caso eclatante il tentativo di mandare Ingroia a Trapani) o legati ai suoi alleati, Pd e Udc (quello di Messina, Filippo Romano è vicino ai centristi). Nei due anni successivi è stato un susseguirsi di balletti, di bozze scritte e riscritte, di dibattiti, di annunci, di proroghe ai commissari, di ipocriti ultimatum che l’Assemblea dava alla giunta, mentre nel frattempo in Italia veniva varata la riforma delle Province, quella vera, e lo si è fatto, come è giusto che sia in pochi mesi, giacché non si stava rifacendo la Costituzione.

Non si è fatto nulla di epocale in Sicilia, né di rivoluzionario, si sono mandati a casa i consiglieri e sono stati sostituiti con l’Assemblea dei sindaci, rimodulando competenze e funzioni, non occorrevano due anni per farlo. Dovrebbe essere ordinaria amministrazione per un governo regionale e un’Assemblea. Li eleggiamo fare le leggi e per dare risposte al territorio. Personalmente non concordo con alcuni punti di questa riforma e a mio giudizio proprio le falle che ancora ci sono dipendono dalla fretta improvvisa che ha spinto i deputati a dare il via libera alla norma solo per evitare di tornare alle urne, solo per dimostrare che non c’è la crisi, e che questa maggioranza lavora. Le dichiarazioni di giubilo del Pd lasciano esterrefatti. Se non ci fosse stato il caso Borsellino e la crisi a valanga (tra l’altro non ancora superata), con ogni probabilità non sarebbe arrivato il voto del 30 luglio che dà l’ok alla riforma. In piena crisi regionale maggioranza e governatore hanno capito che dovevano dare almeno l’impressione di operare, di fare qualcosa e l’unica cosa sul piatto era quella riforma che ha fatto la staffetta tra Commissione, Aula e assessorato per due anni. In piena crisi sono volati alti gli appelli “facciamo le riforme e poi decidiamo, diamo un cambio di passo”.

Sul piatto c’era quello, le ex Province ormai sull’orlo del default, migliaia di dipendenti che rischiano di restare in strada, servizi che non si potevano più garantire. Improvvisamente si sono ricordati tutti di quelle macerie che erano rimaste mentre la politica litigava. Sentire dire Crocetta che la riforma è un fatto storico fa sorridere. Sarebbe stato un fatto storico se la si fosse votata sul serio nel 2013, quando all’Arena di Giletti annunciava il “modello Sicilia”. Ma forse ha ragione, perché è degno di passare alla storia un consesso che impiega due anni per una norma e alla fine la vota solo per un misto di paura e rimorso, per giustificare la sua “esistenza in vita”, per barattarlo con il prolungamento di un’agonia.

Se commissiono un lavoro ad un professionista, ad un operaio, e lui impiega due anni per consegnarmelo e per giunta mi arriva imperfetto, certamente non gli faccio i complimenti e me ne ricorderò la prossima volta prima di rivolgermi a lui. In teoria dovrebbe essere ordinaria amministrazione varare norme per migliorare la Sicilia. Farlo in due anni è truffa agli elettori. Farlo solo perché bisogna tenere in vita un cadavere è doppia truffa.

Trovo che la riforma non sia la migliore possibile, ha fatto rientrare dalla finestra vizi che erano usciti dalla porta. Inoltre non prevede automaticamente (come avviene nel resto d’Italia) che i sindaci dei comuni capoluogo siano automaticamente sindaci delle Città Metropolitane di Messina, Catania e Palermo .Complice il voto segreto l'Ars ha bocciato l'emendamento che invece lo prevedeva solo per fare un "dispetto politico" ad Enzo Bianco e Leoluca Orlando, una ripicca politica.Ci sono altri dettagli che, a questo punto, potevano essere approfonditi o cancellati, ma il punto non è questo. L’unico punto da ricordare è che noi abbiamo votato un’amministrazione regionale e un’Assemblea che ha fatto trascorrere due anni per approvare una legge e che adesso vuol pure spacciare per momento storico quel che dovrebbe essere quotidianità. Per non parlare di tutto il resto. Fatta la legge non cambia assolutamente nulla del contesto complessivo.

Almeno risparmiateci l’ipocrisia del dopo. Meglio il silenzio.

Rosaria Brancato