Alla fine non vi fu altra scelta. Dopo mesi e mesi di scontri, ricorsi al Tar, battaglie a suon di delibere, petizioni, manifestazioni, sondaggi, lettere strazianti di “orfani dell’isola” da un lato e di commercianti ridotti sul lastrico a causa dell’isola dall’altro, Messina non riusciva a trovare la soluzione. Così si decise che l’unico modo per uscirne era la sfida a duello tra Guelfi e Ghibellini, tra favorevoli e contrari. Venne fissata la data della “singolar tenzone”, domenica 7 dicembre, alle prime luci dell’alba e da quel momento iniziarono i preparativi dello scontro all’ultimo stallo blu. Le settimane precedenti furono impegnate nella scelta del luogo del duello, delle divise e dell’arbitro, vera nota dolente, perché su questo tema è impossibile essere imparziali e su oltre 250 mila abitanti non c’è nessun essere umano che possa dichiarare di non avere una sua precisa opinione sul fatto.
Nelle settimane dei preparativi fu deciso che nulla doveva distrarre i contendenti, pertanto fu varata una delibera, firmata in modo congiunto da amministrazione e consiglio, denominata: “Di tutto il resto non ce ne può fregare di meno”, e con la quale si stabiliva che dai servizi sociali all’emergenza rifiuti passando per l’erogazione idrica e i mercatini di Natale nessun problema avrebbe potuto interferire con la sfida del secolo, quindi veniva congelato fino al 2015. E’ con tale serenità d’animo sgombro da fastidiose emergenze che si pensò ad organizzare il duello. Intanto il luogo. Inizialmente si pensò al parcheggio Zaera visto che è sempre deserto, almeno per dare un senso ed una mission all’impianto. Ma entrambe le squadre fecero notare che il parcheggio era stato pensato per ospitare le auto dei viandanti dell’isola pedonale, pertanto scegliere come teatro della sfida quel sito rimasto deserto per un anno non rappresentava una soluzione imparziale. Si optò quindi per lo Stadio San Filippo, in modo da far assistere i messinesi alla singolar tenzone e con i soldi dei biglietti comprare gli arredi e un albero di Natale decente per le imminenti feste. Lo Monaco al solo pensiero di vedere i combattenti sul terreno di gioco ebbe un principio d’infarto: “Mi sono opposto per Vasco e Jovanotti figurati se dico sì a questi che neanche sanno cantare”. Ma l’accordo fu trovato subito: consiglio, amministrazione e componenti delle squadre s’impegnarono in cambio ad acquistare due abbonamenti annuali all’Acr Messina a testa e Lo Monaco disse si.
Si passò poi alla scelta delle maglie da utilizzare. I pro isola scelsero divise a fiori, con la scritta “se lanci semi nel vento fiorirà il cielo”, quelli no isola indossarono una sobria tuta da pilota di Formula uno sponsorizzata dalla Michelen e al posto delle bandiere usarono scalpi degli ausiliari del traffico e bandane con la scritta “Free doppia fila”. Si pose poi il problema dei capitani delle due squadre. I no isola pensarono ad un tandem Pippo Trischitta- Nicola Cucinotta, e prepararono una spettacolare scenografia con l’ingresso dei due in campo a bordo di un quad fiammante, vestiti da motociclisti stile Easy rider e circondati da cheerleader in tuta attillata nera e tacchi a spillo come Olivia Newton Jhon in Grease. Non fu così semplice sul fronte opposto. Per il ruolo di capitano si era proposto l’assessore Cacciola, ma alla luce delle temerarie delibere che hanno contraddistinto l’iter dell’isola qualcuno fece notare che sceglierlo come guida equivaleva a prestare il fianco al nemico. Serviva uno stratega. Accorinti venne subito escluso, perché giunto in campo sarebbe corso ad abbracciare i rivali per convincerli a desistere dalla sfida. Da quando poi era stato nominato ambasciatore del perdono i suoi erano preoccupatissimi e lo seguivano a vista nel timore che andasse, come Gesù, a lavare i piedi a quellicheceranoprima, o, (dio ce ne scampi), finisse con l’andare da Calabrò per donargli quei 59 voti mancanti, “Felice, basta guerre, te li regalo io sti voti, basta che viviamo in armonia perché il rancore è un sentimento negativo”. Restava il presidente del quartiere Francesco Palano Quero, ma gli esponenti del cerchio magico non lo volevano per timore che la guida della “madre di tutte le battaglie” lo rendesse troppo famoso. Esclusi i leader di Millevetrine per evitare di circoscrivere la contesa. Si decise quindi per un’estrazione a sorte e nell’urna furono messi 300 bigliettini con i nomi di quanti ritenevano di poter essere capitani in pectore. Un bambino con gli occhi bendati estrasse il bussolotto e capitano della squadra divenne tal Giuseppe Rizzo, assiduo passante in via Dei Mille soprattutto da quando, a 50 anni, si è ritrovato senza lavoro e senza contributi. Quanto al tipo di disputa si pensò ad una sorta di “torneo medievale” lasciando ai contendenti la scelta delle armi, dalle zucchine siciliane (detta anche zucchina lunga) al lancio degli arancini di Famulari, fino alle registrazioni dei clacson al semaforo quando scatta il verde. I pro isola avevano l’ormai nota arma vincente, da sfoderare qualora le cose si fossero messe male: il discorso di Accorinti, un monologo di 45 minuti in grado di stroncare qualsiasi velleità di guerra. Il problema serio fu trovare un arbitro perché in città e dintorni non esiste nessuno che abbia un’opinione imparziale. Fu esclusa l’ipotesi di un magistrato ed anche quella di amministratori provenienti da altre città perché in tutto il mondo c’è un’isola pedonale. Alla fine si decise per un discendente di Salomone e fu mandata una delegazione bipartisan in giro per il mondo per trovarlo. Della delegazione si persero le tracce per anni ed anni e si optò in corner per Simona Ventura che se è riuscita ad essere imparziale per l’Isola dei famosi tra contendenti improbabili a maggior ragione lo sarebbe stata in riva allo Stretto. Gli ultimi due giorni videro le due formazioni impegnate nei rispettivi ritiri pre-gara. I no isola si allenarono provando la tipica haka in grado di intimorire persino gli All Blacks mentre i pro isola trascorsero le ore in meditazione con il sottofondo musicale di un’arpa. Se i no isola studiarono schemi di gioco suggeriti da un gruppo di parcheggiatori abusivi fatti venire da Napoli i pro isola allenati da Giampiero Già si fecero aiutare da un gruppo di partecipanti alla maratona di New York.
Infine giunse il gran giorno.
Allo spuntar dell’alba i contendenti iniziarono a raggiungere il luogo della sfida. Da un lato si formò un km di doppie file strombazzanti, moto, lape, suv posteggiate su passi carrabili, barriere architettoniche e stalli per disabili, dall’altro un’interminabile fila di bici, gente a piedi, su pattini a rotelle, carrozzine, skateboard, tricicli. Dalla squadra furono espulsi i furbetti che si presentarono con la bici con la pedalata assistita per evitare il sudore della salita del San Filippo: “gente così non è motivata alla vittoria” e furono rispediti indietro. Per la verità molti dei tifosi pro isola non arrivarono mai al San Filippo. Alcuni furono falcidiati dalle auto lungo le piste ciclabili o all’incrocio sulla Ss 114, altri, i pedoni, arrivarono con due giorni di ritardo ed altri infine si attardarono ammirando le vetrine in una città improvvisamente rimasta senza auto (perché erano tutte alla singolar tenzone) e credendo di essere morti decisero di gustarsi il Paradiso fino in fondo.
Prima dell’inizio del duello le due squadre si guardarono in cagnesco, i no isola intonarono l’haka agitando gli scalpi degli ausiliari del traffico e i pro isola iniziarono a cantare Ohm sperando d’ipnotizzare il nemico. Lo stadio era pieno molto più che ai tempi della Serie A e Lo Monaco pensò di comprare Trischitta e Cacciola come centrocampisti per l’Acr. Anche i tifosi erano agguerriti e incuranti di possibili Daspo iniziarono a dirsene di tutti i colori ed a lanciarsi gratta e sosta tra le tribune avverse.
Il clima era tesissimo quando iniziarono i cori. Poi entrò Simona Ventura.
E lo so che vorreste sapere come è finita. Ma il 7 dicembre è lontano ed io non ho idea di quale possa essere stata la conclusione del duello. Quello che so è che in attesa che si risolva la madre di tutte le battaglie, l’unico argomento di cui si parla da mesi, nessuno si accorge di quel che accade davvero. Della fame che arriva anche nelle tavole di Natale, della precarietà che si respira, dell’incapacità non solo di risolvere i problemi, ma anche solo di riuscire a vederli.
Siamo tutti lì, ad azzannarci sull’isola mentre sta arrivando lo tsunami che la travolgerà. E non avremo neanche una zattera avremo perché a stento riusciremo a salvare Metromare.
Rosaria Brancato