Domenica scorsa quasi per caso, mi sono trovato ad ascoltare alla radio il concerto in diretta dal Quirinale tenuto dal giovanissimo pianista siciliano Alberto Ferro; ho potuto ascoltare solo l’ultimo brano, il difficilissimo “La valse” di Ravel, e sono rimasto letteralmente incantato. Quale gioia pertanto sapere che questa promessa del pianismo mondiale nel giro di pochi giorni si sarebbe esibito al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, per l’unico concerto organizzato dalla collaborazione tra l’E.A.R. Teatro di Messina e le tre Associazioni Musicali Messinesi (Accademia Filarmonica, Associazione Bellini e Filarmonica Laudamo).
Venerdì il ventunenne pianista siciliano ha eseguito, con l'Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele diretta da Davide Galaverna, uno dei più famosi e straordinari concerti per pianoforte e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart, il n. 21 K 467 in do maggiore. La sue esibizione è stata preceduta dalla sola orchestra con l’esecuzione del Divertimento “Ein musikalischerSpass” (Uno scherzo musicale) detto anche “Dorfmusikanten – Sextett” (I musicanti del villaggio). Si tratta di una divertente parodia delle esecuzioni di paese, un modo spassoso per far vedere come non si deve comporre e non si deve eseguire musica. Accanto alle evidenti “stecche” dei corni, delle stonature in genere, fino alla terribile cacofonia dell’accordo finale, vi è una critica ironica più sottile che prende di mira il modo pedante di comporre dei musicisti mediocri, dalla banalità dei temi alla ripetizione ottusa degli episodi, alle modulazioni sgraziate e di cattivo gusto. Fu composto probabilmente per essere eseguito nelle serate che Wolfgang trascorreva con i suoi amici musicisti, per farsi due risate, ed è curioso che tale brano sia ancora eseguito con successo nelle sale da concerto. Mozart contribuì come nessun altro all’evoluzione della storia del concerto per pianoforte e orchestra, componendo ben 27 concerti per tale organico, dei quali uno per tre ed uno per due pianoforti, durante tutto il corso della sua vita, e innovando totalmente il genere con il raggiungimento di un perfetto equilibrio fra piano e orchestra, lasciando ai posteri una serie di capolavori che hanno elevato questo genere musicale a vette inaccessibili. Il pianoforte nei concerti mozartiani non ha più il ruolo di solista protagonista, pretesto per sfoggiare il virtuosismo del pianista di turno, mentre l’orchestra si limita ad un discreto accompagnamento, ma diventa parte integrante dell’orchestra stessa, con la quale ora dialoga, ora si alterna secondo lo schema di domanda e risposta, ora suona all’unisono con essa. Ciò vale in particolare per gli ultimi concerti composti, dei quali fa parte il K 467, uno dei più amati. Il primo movimento: Allegro, dal tono lievemente maestoso, di estrema eleganza, è ricchissimo di temi tutti bellissimi, che si aprono uno derivazione dell’altro; è un bran sereno e positivo, ma sempre velato di ombre e chiaroscuri. Il movimento si svolge con una miracolosa naturalezza, tuttavia leggendo una lettera del padre Leopold, che definisce il concerto “terribilmente difficile” aggiungendo che “alcuni passaggi non sono armonici fino a che non si sentono suonare tutti gli strumenti insieme” ci si rende conto di quale straordinaria perizia e padronanza di mezzi avesse raggiunto Mozart nella tecnica compositiva. Il secondo movimento, Andante, non ha bisogno di presentazione, tanto è famoso, e la sua fama è direttamente proporzionale alla sublime bellezza di questo brano, con il quale il grande musicista austriaco ci trasporta in un’atmosfera onirica, una sorta di lied intimo e spirituale, in cui il pianoforte canta il celeberrimo tema con l’orchestra che ora accompagna in sordina ora a sua volta riprende il canto, definito da Einstein “un’Aria ideale, finalmente libera da tutte le limitazioni della voce umana”. Il terzo movimento – Allegro vivace assai – spensierato, è più leggero, anche se, come in tutti i rondò mozartiani, non mancano i momenti di inquietudine, con le modulazioni tonali da maggiore a minore; una ventata di freschezza, in cui si respira già l’atmosfera
L’esecuzione dell’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, pur con alcune, talora evidenti, imprecisioni, anche negli attacchi, e qualche pecca derivante da un affiatamento non ancora perfettamente sviluppato, nel complesso ha eseguito i brani mozartiani – complessi, in particolare la Jupiter – più che dignitosamente, grazie soprattutto alla brillante ed equilibrata direzione di Davide Galaverna, che ha operato tra l’altro una felice scelta dei tempi. Il Finale della sinfonia in particolare – difficile comunque per qualsiasi orchestra – è stato eseguito con buona precisione nella resa della polifonia che contraddistingue tutto il movimento. Il pianista Alberto Ferro è stato semplicemente straordinario: la precisione e nitidezza del fraseggio mozartiano, l’intensità ed espressività del tocco, la disinvoltura infine con la quale ha interpretato il celebre concerto, eseguito a memoria, sono tutti elementi che hanno incantato il numeroso pubblico, al quale il pianista ha concesso, come bis, il delizioso “Capriccio” di Rossini. In conclusione una serata dedicata a due immensi capolavori, imperdibile per gli amanti della grande musica.
Giovanni Franciò