MESSINA – Economia a picco nella nostra città. Nel nostro territorio, cittadino e provinciale, gli elementi critici prevalgono sui segnali confortanti. In gioco è lo stesso futuro di Messina: o si inverte la rotta o si continua ad assecondare un declino inarrestabile. Ma così non deve essere. E il punto di partenza è analizzare i dati per poi individuare le strategie migliori utili a ritrovare fiducia. Come è stato messo in evidenza in occasione dell’ottavo congresso provinciale della Cgil, in Sicilia il 9,6% della popolazione vive in uno stato di grave sofferenza, il 38,1% è a rischio povertà e il 43,5% è a rischio povertà ed esclusione sociale.
Sottolinea Pietro Patti, segretario della Cgil Messina, citando il rapporto Svimez: “Viviamo un periodo in cui le povertà aumentano, le disuguaglianze si acuiscono e l’autonomia differenziata incombe come una spada di Damocle sulla testa delle cittadine e dei cittadini, soprattutto al Sud. Tre elementi interconnessi tra di loro, mentre l’unica risposta che si può dare a un mondo frammentato e disunito sia il lavoro. Purtroppo, a Messina, si tratta troppo spesso di un lavoro fatto di precariato, di salari da fame, di bassa qualità, a intermittenza e senza tutele contrattuali”.
Da qui un prevalere, osserva il segretario della Cgil, di “lavoratori precari e senza tutele, scarsa capacità di creare occupazione che ha finito per scoraggiare la partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto, a giovani e donne: “Il quadro che abbiamo di fronte appare desolante. Assistiamo, di fatto, a un’emergenza occupazionale senza precedenti. Messina, in questa triste cornice, sta pagando un prezzo troppo alto in termini di perdita di lavoro. È il Comune con il più basso tasso di occupazione (attorno al 36%) tra le grandi città d’Italia. In riva allo Stretto il tasso di occupazione fra gli uomini di età compresa fra i 15 e i 64 anni si assesta al 50%, quasi il doppio di quello delle donne, fermo al 28%. Ma il dato ancora più preoccupante è rappresentato dal 46% dei cosiddetti neet, i giovani dai 15 ai 34 anni che non lavorano, non studiano e non cercano occupazione. Siamo nel bel mezzo di una pandemia occupazionale ed educativa che ci consegnerà una generazione povera, precaria e poco istruita”.
Negli ultimi dodici anni sono andati via dalla Sicilia circa 310.000 abitanti. Di questi, circa 35.000, con un’età compresa tra i 18 e i 39 anni, hanno lasciato la provincia di Messina. Secondo le previsioni dell’Istat, ricorda sempre la Cgil, nel 2068 la Sicilia perderà quasi un milione e mezzo di abitanti. Spiega il segretario: “Ad andare via è la fascia più giovane e qualificata della popolazione, quella che ha maggiore probabilità di trovare migliori opportunità lavorative lontano da casa. Uno spopolamento e una desertificazione demografica che farà della Sicilia la terra di nessuno”.
Da qui la necessità di una visione politica che coinvolga livello nazionale, regionale e della Città metropolitana. Il Pnrr è importante ma non basta. Occorre un piano straordinario, come abbiamo più volte evidenziato, nel segno della programmazione di nuove politiche per il lavoro. Se non ora, quando?