In questi giorni sta girando nel web una storia alquanto singolare. Un modello russo, il 27enne Vladislav Ivanov, in arte Lelush, ha preso parte ad un reality show cinese Produce Camp 2021, ma ne è rimasto intrappolato. Insomma, non riusciva a venire fuori nonostante i suoi tentativi di farsi eliminare. Ma niente da fare, il pubblico ha continuato a votarlo. E l’esperienza che avrebbe dovuto lanciarlo al grande pubblico si è trasformata in un incubo.
Produce Camp 2021 ha l’obiettivo di formare una boyband internazionale composta da 11 membri, gli ultimi concorrenti dello show. E Lelush, rendendosi conto nel frattempo che non era quella la vita che voleva, ha provato ad apparire antipatico e poco partecipativo. Eppure è arrivato in finale, non potendo interrompere volontariamente la partecipazione allo show altrimenti avrebbe dovuto pagare una penale. Durante le riprese si è spesso rivolto al pubblico chiedendo esplicitamente di essere eliminato, che non era quello il suo sogno, e che non sapeva «né cantare né ballare».
25 i finalisti su 90 concorrenti totali. E Lelush ha raggiunto quel traguardo, agognato da molti ma da lui disprezzato. Ha girato diversi video (come questo) in cui, rivolgendosi al pubblico, diceva di essere serio nel chiedere di essere eliminato.Al punto che il Guardian ha raccontato che Ivanov è stato considerato da molti russi una sorta di prigioniero tenuto in ostaggio dal reality show cinese. Finché a fine aprile è stato finalmente eliminato.
Verità o finzione? C’è chi sostiene che quella di Lelush sia stata una tattica per ottenere una visibilità che andasse oltre la semplice notorietà da reality show. Sia come sia, obiettivo raggiunto: Lelush ha guadagnato più di 840mila follower su Weibo, e persino l’ambasciata russa in Cina, riferendosi alla sua eliminazione, si è rivolta a Lelush scrivendo: «Congratulazioni e buon riposo».
Una situazione al limite del tollerabile. Che però deve far riflettere sulla dittatura dei like e dei televoti. Una vicenda, insomma, che ricorda le distopie raccontate in Black Mirror sulle distorsioni della società virtuale, sullo sguardo non più empatico delle persone, sulla malizia del pubblico, sulla volontà di stuzzicare il gladiatore affinché intrattenga fino alla morte – per poi essere buttato via come un oggetto inutile, non più funzionale alla dose quotidiana di divertissement.
Il caso Lelush dovrebbe far riflettere in virtù della sua assurdità e, insieme, della sua coerenza con le istanze dell’era dei social network: siamo tutti prigionieri di un enorme meccanismo di celebrazione, di ricerca del plauso, di una approvazione convulsa. E questo meccanismo è, ad oggi, invincibile. Lelush non è solo. Siamo tutti Lelush.