Politica

Europee messinesi tra la sfida di De Luca e l’incognita astensione

di Marco Olivieri

MESSINA – Ieri sera Cateno De Luca a Messina ha rivendicato la sua “Libertà”. Un comizio a piazza Duomo, per le europee, contro “le mafie dei palazzi e gli elefanti nella cristalleria”. In una campagna elettorale fiacca, in cui si è parlato di tutto tranne che di Europa, il leader di Sud chiama Nord ha alzato l’asticella delle ambizioni.

In questo periodo ha puntato tutto sulla Sicilia, in linea con quanto aveva dichiarato il 22 maggio: “O dentro o fuori. Non sono un uomo per tutte le stagioni. Con la lista Libertà sfidiamo la censura e siamo tra il 2.8 e il 3 per cento. Se in questi 15 giorni ci sarà un lavoro di squadra, l’obiettivo del 20 per cento in Sicilia e il 4 nazionale sarà possibile. E da qui partirà la campagna per le regionali e la presidenza per liberare l’Isola”.

De Luca: “Non un voto di meno a Messina”

Una sfida ancora più difficile se consideriamo lo scarso appeal delle europee tra gli elettori. Capolista in tutte le circoscrizioni italiane per le elezioni dell’8 e 9 giugno, il federatore del progetto “Libertà” aveva detto, appena dimesso dall’ospedale: “L’obiettivo è confermare i 150 mila voti ottenuti a Messina e provincia e gli oltre 500 mila voti in Sicilia conseguiti alle regionali del 2022. Perché noi viviamo di consenso. In città questa amministrazione non deve prendere nemmeno un voto in meno rispetto alle regionali e la lista Libertà non deve prendere un voto in meno rispetto alle regionali del 2022. L’amministrazione Basile sta proseguendo egregiamente il lavoro che abbiamo avviato e ha il dovere di salvaguardare un patrimonio di credibilità elettorale in città. Abbiamo un’immagine e una storia di buona amministrazione che dobbiamo difendere. Assessori e presidenti si diano una mossa”.

Un obiettivo che stride con la natura differente dell’attuale competizione rispetto ad amministrative e regionali. Di certo, l’elemento negativo, mettendo dentro nel ragionamento centrodestra e centrosinistra, è che l’Europa è rimasta sullo sfondo, tra polemiche e slogan. Un’Europa che rischia di cadere ancora di più nelle mani dei partiti populisti e che già spesso è stata mortificata da una politica priva di ali, chiusa e non attenta alle potenzialità del continente. Il tutto mentre infuriano guerre e crisi economiche.

Eppure, in territori in affanno come quello messinese e siciliano, l’Europa e la progettazione devono assumere, in realtà, un ruolo sempre più centrale. Al contrario, c’è più attenzione alle rivalità interne alla coalizione che regge governo nazionale e regionale, con Salvini che punta sul ponte e Meloni che cerca nuovo consenso alla sua presidenza, piutttosto che ai contenuti e alla posta in palio.

Più ci vorrebbe una politica che voli alto, più assistiamo a scene come quella della presidente del Consiglio che va in Albania per “benedire” il centro per migranti, invece di dire quello che la Banca d’Italia ha messo nero su bianco. Nella sua relazione, il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, non proprio un leader di sinistra, ha evidenziato la necessità economica di avere in Italia più immigrati. Il che dovrebbe avvenire creando percorsi di regolarizzazione più umani e giusti. Ma figuriamoci, bisogna continuare con la demagogia.

La politica debole e il popolo dell’astensione

La stessa sfida Schlein-Meloni, tra due che non andranno al Parlamento europeo, o la rivalità Pd-M5S, o la debolezza progettuale delle attuali opposizioni, ci ricordano quanto la strada sia in salita. La politica è chiamata a riconquistare il popolo sempre più crescente dell’astensionismo. Ma lo potrà fare solo se recupererà credibilità. Per ora, non ci siamo.