Era il 6 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, il quarto guidato da Giulio Andreotti, quando Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse. Dopo 55 giorni di progionia il corpo del politico, accademico e giurista italiano, segretario politico e presidente del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana fu ritrovato senza vita, vicino alla sede politica di appartenenza.
Da allora sono passati 40 anni e il caso Moro è tutt'altro che chiuso come si evince anche dalla tavola rotonda organizzata stamani dall'Ateneo peloritano presso l'Aula Magna dal titolo “A quarant’anni dall’omicidio di Aldo Moro”. Ad aprire i lavori è stato il rettore Cuzzocrea, il quale ha esordito affermando che "oggi il mondo accademico e le altre istituzioni hanno il dovere di affrontare congiuntamente questa vicenda per tramandare ai giovani il suo esempio. La trasparenza deve rappresentare la normalità e non deve essere sbandierata, mi auguro che l’auspicio di Moro per una politica al passo con i tempi possa giungere oggi tanto al Governo quanto all’Università, centro di cultura e di dialogo leale e aperto”.
Il prof. Giovanni Moschella, Prorettore vicario e docente di Istituzioni di Diritto pubblico ha spiegato che l'uccisione di Moro è stato un evento che ha modificato la storia della nostra repubblica. Aldo Moro credeva fortemente nel suo progetto che voleva ridare slancio al nostro paese con un atteggiamento all’insegna del dialogo e dell’inclusione, attraverso la collaborazione di forze politiche lontane tra loro per ideologie. La sua morte segna la fine di questo processo e le leggi che includono il pentitismo contro il terrorismo sono state funzionali al fine delle lotte alle mafie.
Proprio oggi ricorre, a proposito di mafie, l'uccisione di Peppino Impastato, così come riordato anche dal prof. Luigi Chiara, Prorettore agli Affari Generali e docente di Storia contemporanea sulla figura di Moro ha affermato: "Era mosso dalla necessità e dalla volontà di dare una svolta alla storia repubblicana italiana ed al suo sistema politico, ingessato e in assenza di opposizione e logica dell’alternanza. Le armi prescelte dallo statista furono quelle della comprensione, della misura e della legittimazione dell’elettorato, fortemente diverso ma egualmente rappresentativo sia per la Democrazia Cristiana che per il Partito Comunista Italiano. La sua idea testimoniava il grande spessore dell’uomo prima ancora che del politico. L’auspicio è che il suo metodo possa essere recuperato dai leader politici di oggi".
Ospite dll'evento il giornalista Marcello Sorgi, già direttore del Tg1 e del quotidiano La Stampa, del quale è editorialista. Sorgi ha ricordato il suo incontro con Moro ai tempi in cui ricopriva il ruolo di Presidente del Consiglio e "fui incaricato – spiega – di condurre da lui due scolaresche di bambini nati e vissuti nelle baracche del Belice. . Il giorno del suo sequestro fui incaricato di scrivere un articolo con le reazioni a caldo dei giovani delle scuole palermitane e potei rendermi conto che molti studenti simpatizzavano per le BR. Il pezzo non fu mai pubblicato".
Lo stesso Giorgi infine, spiega che esistono ue teorie sul delitto Moro: una è quella che si può definire ‘minimalista’, ovvero lo statista DC fu rapito e ucciso dalle BR senza complicità esterne; l’altra, invece, propugna la tesi secondo cui ci sono state delle spinte di carattere internazionale che supportarono sia il sequestro che l’eliminazione di Moro, all’epoca impegnato in un accordo per un Governo di unità nazionale; ciò per il timore di larghe intese e la conseguente occidentalizzazione del Partito Comunista.
Questa seconda ipotesi ha preso corpo grazie ad alcune testimonianze ed al lavoro dell’esperto americano Steve Pieczenik, collaboratore del Comitato di crisi del Ministero dell’Interno. Secondo la sua indagine il ritorno di Moro da quella che era la ‘prigione del popolo’ sarebbe stata ben più destabilizzante della sua uccisione. 700.000 il numero di pagine prodotte sul caso Moro dalle relazoni d'inchieta riguardanti il rapimento e la morte dalla Commissione Antimafia.
Della lezione di Moro rimangono la dignità della persona che si evince anche dalle lettere da lui scritte durante il periodo del rapimento. Tra bufale e verità si spera, un giorno, di poter far luce su questa vicende che è, e resta, una delle pagine più tristi della storia del nostro Paese.