Ci sono alcuni aspetti di questa campagna elettorale per le Regionali che non mi piacciono e che non riguardano solo Messina ma l’intera Sicilia.
Il primo ovviamente è la questione femminile, alla quale dedicherò prossimamente una delle mie trite e ritrite filippiche del tutto inutili visti i risultati.
La seconda sono gli highlander, che preferiscono definirsi ever green perché, in tempi di eterna gioventù è più “politicamente corretto”. L’Ars si ridurrà da 90 a 70 deputati, pertanto ce la faranno solo i “carri armati”. Da quel che si vede ai nastri di partenza è molto probabile che sarà una fotocopia dell’Assemblea attuale perché si ricandidano quasi tutti. Fin qui nulla di male. Ma ci sono deputati che si ricandidano per la quinta o sesta volta. C’è chi ha messo piede all’Ars sul finire degli anni ’90, quando Lady Diana era ancora viva e Renzi aveva 20 anni. Cinque anni per cinque mandati (anche se una legislatura di Cuffaro è durata 2 anni e mezzo e quella di Lombardo 4), fa 25 anni….., un quarto di secolo.
Ci sono deputati che sono entrati lì che avevano i capelli neri e ora li hanno grigi (se li hanno ancora). E stando alla situazione attuale della Sicilia non possiamo certo dire che ci siano stati risultati brillanti (tesi questa che vale per tutti).
La politica è servizio, non è una professione, non è un posto di lavoro. E’ missione.
Ritengo giusto ed anzi auspicabile che chi ha concluso un primo mandato, sia che abbia portato risultati sia che non vi sia riuscito, si ricandidi. Ritengo altrettanto giusta anche la terza candidatura, per consolidare un percorso avviato e perché si conoscono meglio i meccanismi. Ma il quarto, il quinto, il sesto mandato, denotano qualcosa di morboso, una visione egocentrica del mondo, oltre che un’incapacità di far crescere qualcuno, un delfino, un’ anguilla, un numero due, un bastone della vecchiaia. Qui non si tratta di voler a tutti i costi rottamare o chiedere un doveroso ricambio generazionale. Qui si sfiora il fenomeno patologico.
I deputati uscenti del M5S, movimento che ha fatto ingresso all’Ars per la prima volta nel 2012, si ricandidano tutti. Con Valentina Zafarana tentano la seconda candidatura Marcello Greco (eletto col Megafono e adesso Sicilia Futura), Nino Germanà (eletto nel Pdl e adesso probabilmente Forza Italia), Bernadette Grasso (eletta con Grande Sud di Miccichè e adesso Forza Italia) mentre Beppe Picciolo prova il terzo (eletto con MPA adesso è Sicilia Futura). Fin qui sono scelte corrette.
Non si candidano, ma per motivi opposti, Filippo Panarello (che di mandati ne ha accumulati 4) per far spazio ad Emanuele Giglia, e Franco Rinaldi (che ne ha fatti 3) ma per far spazio al nipote, Luigi Genovese.
Tutti gli altri, ma sono in ottima compagnia con colleghi di mezza Sicilia, veleggiano verso la quarta, quinta e sesta legislatura. Pippo Currenti, che trascorre sottocoperta i mandati e risorge in campagna elettorale punta al quarto, mentre al quinto puntano il presidente dell’Ars Ardizzone, il deputato Pd Laccoto. Infine Formica, vero recordman (insieme a Michele Cimino) veleggia verso il sesto. Sono in buona compagnia con Cracolici (4 mandati), Gucciardi, Panepinto, Ruggirello (tutti 3), Cimino (5).
Non voglio credere che in questi anni non sia maturato politicamente nessuno che possa essere considerato il “delfino”, il legittimo successore dei pacchetti di voti singoli o dei partiti che questi singoli rappresentano.
La terza cosa che non mi piace è la candidatura di Genovese jr, Luigi. Mi fanno orrore gli insulti e le offese su facebook, diventato uno dei peggiori tribunali mediatici, rivolte al figlio del parlamentare, anche se do per scontato che chi si candida sa che, da personaggio pubblico, si espone anche alle critiche. Conosco Luigi e so che è un ragazzo appassionato, entusiasta, preparato, impegnato politicamente e crede davvero che la politica possa cambiare le cose. Ha tutto il diritto di candidarsi.
Nel 2012 Raffaele Lombardo candidò il figlio Toti alla Regione. Aveva 24 anni e si era appena laureato in giurisprudenza. Venne eletto a furor di popolo. Luigi Genovese ha 21 anni e studia a Roma, facoltà di giurisprudenza. Ha aperto la segreteria in via I Settembre e nella lista di Forza Italia molti candidati contano sui voti che prenderà per far scattare il secondo seggio. Gli stessi compagni di lista, deputati di calibro, danno per scontato che il primo seggio sia il suo, che è alla prima candidatura.
Dopo gli attacchi scrive sul suo profilo Fb: “Giudicatemi per quello che sono e non per il cognome che ho”. Il nocciolo della questione non è la sua giovane età o il fatto che sia il figlio di Francantonio. Il nocciolo siamo noi elettori.
Il primo seggio all’Ars targato Genovese lo prese il padre, con oltre 13 mila preferenze. Poi divenne sindaco di Messina. Al suo posto venne eletto il cognato di Francantonio, zio di Luigi, cioè Franco Rinaldi che nelle ultime due elezioni sfiorò i 19 mila voti (18.664) . Nel 2012 i suoi voti fecero scattare addirittura il 3 seggio al Pd. Di fatto stiamo parlando di 4 mandati che sono rimasti “in casa”, una sorta di higlander versione famiglia. Dopo le inchieste e con i processi in corso è difficile che Genovese riesca a confermare gli oltre 18 mila voti del 2012. Supponiamo quindi che Luigi Genovese prenda la metà dello zio, anche se in via I Settembre senior pare abbiano stime più alte. Con metà dei voti di Rinaldi, quindi con 9 mila voti, Genovese entrerebbe all’Ars e sarebbe per lui la prima esperienza politica in assoluto. Non è mai stato consigliere di quartiere o comunale. Del resto, a 21 anni sarebbe stato difficile. Suo padre ha avuto il primo incarico politico a 30 anni, come assessore provinciale nella giunta Buzzanca. I 9 mila voti che Luigi Genovese potrebbe prendere sono gli stessi che ha preso Laccoto alla terza elezione, ed oltre 8 mila li hanno presi Ardizzone, Germanà e Picciolo che fanno politica da anni.
Nessuno vuole giudicare Luigi per il cognome, ma è solo ed esclusivamente per il suo cognome che è nella lista più forte di questa campagna elettorale, è solo ed esclusivamente per il suo cognome che è candidato a 21 anni, come prima candidatura politica e per di più all’Ars. E’ solo ed esclusivamente per il suo cognome che lo voteranno a Messina e provincia, con ogni probabilità, in 9 mila persone. C’è scritto Luigi ma gli elettori leggeranno Francantonio e lì metteranno la crocetta. Di quel che pensa Luigi sulla cultura, sui giovani, sul lavoro, sul turismo, sull’impresa, sull’agricoltura, sui migranti e sul mondo intero, a quei 9 mila elettori non fregherà un bel nulla. Chiunque Genovese avesse scelto tra i suoi parenti sarebbe stato votato e non perché convinti dai comizi o dal programma, anche perché, nel 2012 Genovese sosteneva Crocetta contro Musumeci, mentre adesso appoggia Musumeci contro il Pd. Quindi il programma non fa la differenza al momento della scelta.
Luigi Genovese non può che essere giudicato che per il suo cognome, non per perfidia, ma perché si è gettato lui nell’agone politico, con queste modalità.
Se si fosse chiamato Luigi Bianchi non lo avrebbero fatto candidare neanche al quartiere nella lista “XYZ”. Fingere di non saperlo è da ipocriti.
Per dirla davvero tutta, a Messina siamo abituati ai figli d’arte sin dai tempi di Andò, D’Aquino, Astone, Ragno, D’Alia, Germanà. In questo caso siamo alla terza generazione, cioè ai nipote d’arte, per quanto la politica non sia né un’arte, né un mestiere.
Il nocciolo del problema quindi, tornando al discorso iniziale degli ever green e dell’assenza di donne non è chi si candida, ma gli elettori.
Ed è proprio vero che il potere logora chi non ce l’ha…..
Rosaria Brancato