Un giorno accorperanno il Duomo di Messina a quello di Monreale e noi staremo zitti a guardare. Anzi peggio, accadrà che al momento dell’annuncio dal Vaticano, i nostri politici passeranno il tempo a farsi la guerra fino a quando non sarà smantellato il campanile e tutti si stracceranno le vesti poi, a “babbo morto”.
La vicenda Camera di Commercio e quella dell’ospedale Piemonte hanno un “unico comune denominatore” e cioè l’incapacità, da parte della classe dirigente messinese, di fare squadra e la straordinaria capacità, tipica nostra, di farci del male con guerre di “territorio” che nulla hanno a che vedere con l’interesse della città. In entrambi i casi la classe politica si divide in due fazioni nate per far dispetto l’una all’altra ed evitare che “l’altra parte” abbia più visibilità o consenso della propria.
Le grida d’allarme sull’accorpamento della Camera di Commercio sono vecchie di mesi e mesi, e lo stesso possiamo dire sulla chiusura dell’ospedale Piemonte. Nel primo caso si tratta di un presidio vitale per la “salute” del tessuto commerciale ed imprenditoriale, nel secondo di un presidio altrettanto vitale per la salute dei cittadini. E noi che facciamo? Uniamo le forze, valutiamo la proposta migliore per difendere con le unghie e con i denti pezzi della nostra economia? No, nient’affatto, assistiamo al posizionamento degli schieramenti e nel polverone delle battaglie rischiamo persino di non capire dove sta la soluzione. Ed è proprio in quel polverone che “zacchete”, ci tolgono quel pezzo di autonomia.
Il grido d’allarme lanciato a suo tempo con fiumi di comunicati stampa mesi e mesi fa da parte di Picciotto per la Confcommerio, Picciolo, Bisignano, Finocchiaro ed una battaglia finita al tribunale amministrativo. Il tempo è passato, ma invece di unire le forze, quelle stesse forze si sono disperse seguendo obiettivi diversi. Non per nulla adesso abbiamo la Confindustria che tira la corda da un lato e Confcommercio dall’altro. Personalmente, sulla vicenda in questione, ritengo che dovremmo evitare l’ennesima colonizzazione e finire nel calderone con Catania, Ragusa e Siracusa non rappresenta il massimo. Tiro a indovinare: cosa sarebbe successo se al primo grido d’allarme l’intera classe politica insieme alla classe dirigente (quindi anche imprenditori e alti dirigenti) invece di farsi la guerra per difendere il proprio angolo si fosse unita e avesse lottato, studiato alternative, strategie volte alla crescita del territorio? Perché si è lasciato che poche persone parlassero al vento, facessero documenti, comunicati, interrogazioni, si rivolgessero al Tar salvo poi arrivare in corner e cercare di salvare la partita ai tempi supplementari? Arrivare con l’acqua alla gola, con un commissariamento che dura da troppo tempo, una sentenza dei giudici amministrativi, comporta la perdita di lucidità e l’obbligo di decidere in fretta, quando, se fossimo stati uniti e meno individualisti (o invidiosi l’uno dell’altro), avremmo operato con lungimiranza. Invece ci siamo ridotti a dover combattere per un accorpamento o un altro piuttosto che per l’autonomia.
Situazione analoga con l’ospedale Piemonte. Era fine luglio quando Silvano Arbuse, stimato medico e uno degli animatori del cuore pulsante del Comitato Salviamo il Piemonte, mi fece una gran lavata di capo perché non mi ero accorta, da giornalista, delle manovre che puntavano, complice la Regione, alla chiusura dell’ospedale Piemonte, grazie anche alla “rilassatezza” di parte della classe politica mentre la Borsellino stava per varare un Piano di riordino della rete ospedaliere da fare concorrenza ad Edward mani di forbice. Strano a dirsi però la forbice funzionava alla grande solo a Messina. Dall’estate 2014 ad oggi il piano di smantellamento è andato avanti inesorabilmente nonostante i gridi d’allarme e il ddl Picciolo-Formica, sposato da una parte della classe politica e che prevede la nascita del Piemonte-Neurolesi e, dopo l’ok del ministro Lorenzin la realizzazione del polo di riabilitazione nella struttura del Viale Europa. Mentre chi si batte per il Piemonte scrive al governo nazionale, alla Regione, fa manifestazioni, proposte di legge, scioperi, progetti, tavoli tecnici, c’è un’altra parte che continua imperterrita nella direzione opposta che è quella che ha portato al Piano di riordino presentato nei giorni scorsi dal dg del Papardo Michele Vullo, lo smantellamento. Come se la battaglia intorno non fosse mai esistita. Il sindaco Accorinti è arrivato con enorme ritardo sulla vicenda, con poca incisività e con la scarsa comprensione sia della gravità della situazione che dell’ambiguità delle varie posizioni. La parte politica più vicina a Vullo, il Pd per intenderci, non ha mosso un dito a tutela né dei posti letto né di una soluzione che salvasse il presidio d’emergenza.
Sono dell’idea che quando ci sono in gioco interessi da tutelare non ha alcuna importanza chi sia il primo che alza la bandiera e che colore abbia, ma conti solo arrivare al risultato. Ci sono momenti in cui, e questo le altre città hanno mostrato di saperlo fare, conta più la squadra che il singolo, anche se quella squadra è fatta di calciatori che vengono da partiti diversi. Un po’ come la nazionale. Non è che se giochiamo contro la Germania Totti non passa la palla a Balotelli. Non conta chi fa il gol, conta evitare che ci facciano la goleada e purtroppo con Messina ci stanno riuscendo tutti. Giochiamo senza portieri.
Rosaria Brancato