La rubrica della scorsa settimana “In Italia cresce il rancore ma Maria Antonietta del 2000 mangia Ferrero Rocher” (leggi qui) ha colpito nel segno. Ho ricevuto numerose riflessioni, ulteriori spunti, commenti. E’ una ferita aperta per Messina, ma al tempo stesso una condizione dalla quale in tantissimi vogliamo uscire. E’ come stare sotto una cappa scura, conoscerne le origini, i confini, le molteplici cause. Quel che ci manca è la cura, la strada per uscirne. Non basta augurare alle Maria Antonietta del 2000 di affogarsi mentre si strafogano di brioches. Il rancore non è costruttivo, quando esplode distrugge tutto, fa terra bruciata.
Avete presente i capponi che Renzo nei Promessi Sposi porta all’avvocato Azzeccagarbugli tenendoli per le zampe a testa in giù e quelli si beccano tra di loro?
Quei polli siamo noi, destinati al macello, impegnati in un’assurda guerra tra poveri per sopravvivere. Non serve fare come i capponi di Renzo, non serve neanche elemosinare dietro la porta della Maria Antonietta di turno, o barattare la nostra dignità per poche briciole oggi che diventeranno pane duro domani.
Tempo fa Elio Conti Nibali faceva questa riflessione: “ La crisi mette tutti contro tutti, è un lento e inarrestabile processo di disgregazione che livella verso il basso. Il senso di appartenenza ed i valori di riferimento, intesi anche come ammortizzatori, sono nei fatti inesistenti. La crisi fischia forte perché alligna in un tessuto sociale disgregato. Il cittadino non si riconosce nella città che diventa la città della non appartenenza. E agisce di conseguenza, deturpandola con le proprie azioni, imbrattandola col linguaggio. Tutto è quindi ineluttabile? Se mancano i valori, i riferimenti, la fiducia, da cosa bisogna provare a ripartire? Dai valori, dai riferimenti e dalla fiducia”.
Rachel Botsman descrive la nostra come l’era della “fiducia distribuita”, una fiducia che da verticale, quale era in passato, diventa orizzontale. Non ci fidiamo di chi ci amministra ma raccontiamo su facebook la nostra vita più intima, non crediamo nei politici ma abbiamo una fede cieca nelle fake news.
A me piacerebbe creare una squadra di innamorati pazzi di Messina. Contro il rancore che cresce rigoglioso nel nostro giardino, nutrito da una crisi nera come la fame dobbiamo piantare i semi dei valori, della rinnovata fiducia, della compassione.
Il rancore lo sconfiggi solo se ami disperatamente Messina, così com’è. Un innamorato pazzo non si accorge se l’altra parte è piena di difetti, se ha le rughe, la cellulite, un pessimo carattere. Non si accorge neanche se l’altra parte non se lo fila. Messina oggi, vista da occhi esterni è impossibile da amare. Piena di difetti, trasandata, l’abito ridotto a stracci, ridotta a mendicare. Ha un caratteraccio, passa il tempo a lamentarsi ed a ricordarsi quando era giovane e bella. Si vende al primo offerente e vive di briciole. Sfido chiunque ad amare una tizia così.
Non so se è capitato anche a voi lettori di Tempostretto di guardare Messina all’improvviso e sentire le farfalle nello stomaco, sentirvi mancare l’aria e pensare di esserne perdutamente innamorati. Senza nessun motivo.
Mi piacerebbe fare una squadra di gente che almeno una volta ha sentito le farfalle nello stomaco per Messina.
Potremmo fare dei provini per chi vuol far parte di questa squadra. Ma ESCLUDEREI sin da adesso:
I NARCISI E GLI INGORDI– quelli che sono troppo innamorati (a vario titolo ed in vario modo) di sé stessi, del proprio portafoglio, del proprio ruolo, della propria poltrona, della propria immagine, dei propri ricordi.
QUELLI CHE HANNO PERSO L’OCCASIONE– Chiunque ha avuto, a vario titolo, le occasioni per dimostrare amore e le ha sprecate. Non importa se le ha sprecate perché incapace, codardo, opportunista, egoista, superficiale, ladro, servile. Le ha perse. Se ne vada fuori dal campo.
I FURBI- fuori dalla squadra quelli che si credono più furbi degli altri, quelli lesti a gettare i palloni sugli spalti, quelli che amano il gioco individuale.
I MERCENARI DEL PALLONE– Il mondo del calcio è pieno di questi giocatori. Sono bravissimi, brillanti, ma hanno un solo dio: il denaro. Non gli interessa la squadra o i colori ma il conto in banca, che per lo più è all’estero in un paradiso fiscale. A noi non servono i mercenari. Abbiamo bisogno di Totti o Del Piero.
I NATI STANCHI E I VAMPIRI DI ENERGIE– quelli che vivono sulle spalle e sui risultati degli altri, quelli che stanno a guardare gli altri che lavorano, quelli bravi a criticare e mai a rimboccarsi le maniche.
Chi vuol far parte di questa squadra deve imparare a coprire col suo mantello il compagno di strada, deve fermarsi ad aspettare chi resta indietro, ascoltarlo. Non deve dire “io”, deve sporcarsi le mani di fango e usare quelle dita sporche per asciugarsi le lacrime. Non deve avere paura della fatica.
Continuando a usare la metafora del calcio prendo a prestito una straordinaria frase di Giuseppe Furino, centrocampista della Juventus quando io non ero neanche nata:
“La fatica è un nodo che ferma il respiro. E’ il cuore che esplode nella gola, la nebbia che appanna la vista, le tempie che pulsano. Fatica è quando le gambe tremano ma devi correre per altri 30 metri. E quando li hai fatti devi tornare indietro. E quando sei tornato indietro devi ripartire. A me ha regalato la gloria ma ho avuto il coraggio di amarla. Di amarla e ignorarla ogni volta che mi si è attaccata addosso. Perché, se continui a correre improvvisamente scompare. Allora sai che puoi vincere la battaglia. Quella contro te stesso e quella contro gli avversari”.
La battaglia più grande è quella contro sé stessi e l’unica rivoluzione che oggi dovremmo fare, mentre il rancore cresce e Maria Antonietta del 2000 s’ingozza di caviale è la rivoluzione umana.
P.s- Donna Sarina inizia i provini per la squadra degli Innamorati pazzi di Messina dopo le vacanze di Natale per dare il tempo a tutti di smaltire panettoni, “scacci” e pasta al forno.
Rosaria Brancato