MESSINA – Niente “sconti” di pena: ergastolo confermato anche in secondo grado per Antonio De Pace, colpevole del femminicidio della compagna Lorena Quaranta, strangolata nella loro abitazione di Furci Siculo il 31 marzo 2020. La Corte d’assise d’appello di Messina ha confermato la condanna al carcere a vita decisa per l’infermiere calabrese un anno fa. La Procura generale aveva invece chiesto di concedergli le attenuanti generiche. Se concesse, De Pace avrebbe scongiurato l’ergastolo.
Si chiude così il secondo importante passaggio processuale di questa amara vicenda, probabilmente un caso esemplare per “spiegare” il fenomeno dei femminicidi, come esplicitato dalle motivazioni della condanna di primo grado.
Sullo sfondo non c’è soltanto la vita di una specializzanda in medicina stroncata troppo presto, l’amaro silenzio dietro il quale si è trincerato lui subito dopo il delitto. Ma anche il groviglio di sentimenti e il dolore che è precipitato su due famiglie, quella di Lorena, di Favara, come quella di Antonio nel vibonese, che fino a quel momento osservavano insieme il crescere del legame tra i loro figli e immaginavano forse il loro matrimonio e l’arrivo di nipotini.
Adesso l’ultima carta di De Pace, se deciderà di tentarla, si gioca in Corte di Cassazione. I suoi difensori, gli avvocati Salvatore Silvestro e Bruno Ganino, attendono di leggere le motivazioni del verdetto di oggi per valutare i prossimi passaggi. Soddisfatto il legale della famiglia di Lorena, l’avvocato Giuseppe Barba. La sentenza di oggi infatti non era affatto scontata: in primo grado il processo era stato messo a rischio dal così detto caso dei giurati over 65, poi superato.
Un altro boccone amaro da digerire, per loro, sono state poi le conclusioni dell’Accusa, che si discostavano dalla pronuncia del giudice di primo grado come dalle conclusioni della Procura, che hanno invece sempre sostenuto l’accusa di omicidio volontario senza attenuanti per De Pace. “Siamo felici che la Corte ha aderito pienamente alla conclusione dei primi giudici – commenta infatti l’avvocato Barba anche a nome della famiglia – Abbiamo sofferto sotto diversi profili, prospettati sia dal procuratore generale che dalle difese. Ma alla fine la Corte ha ritenuto giusto confermare”.