Il processo avrebbe dovuto verificare più attentamente, avrebbero anzi dovuto farlo i giudici, se “la specificità del contesto possa, e in quale misura, ascriversi all’imputato”. O se “la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica, con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio, costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”.
Attenuanti generiche. La I sezione della Corte di Cassazione (presidente Vito Di Nicola) classifica così il passaggio chiave della sentenza del maggio scorso sul caso di Lorena Quaranta. Per la Suprema Corte il processo d’appello è da rifare. Ha quindi annullato l’ergastolo deciso dai giudici di Messina per il fidanzato Antonio De Pace.
La sentenza aveva già amareggiato la famiglia della ragazza di Favara, specializzanda a Messina, e allarmato i Centri antiviolenza (leggi qui). Le motivazioni, oggi, vengono accolte come un segnale ancora più preoccupante perché tra le attenuanti generiche che la Cassazione “concede” al femminicida, introduce appunto esplicitamente lo stress da pandemia covid 19. O meglio, la Cassazione chiede ai giudici della Corte d’Appello di tornare a valutare se è possibile concedere o meno le attenuanti generiche a De Pace, che eviterebbe in questo ultimo caso il carcere a vita.
Lo stress da Covid 19 è stato al centro del braccio di ferro tra accusa e difesa lungo tutto il processo. La Corte d’assise in primo grado aveva però escluso attenuanti, interpretando in modo diverso l’incidenza dello stress sullo stato mentale di Antonio De Pace (leggi qui le motivazioni della sentenza di I grado)
“Abbiamo atteso le motivazioni della sentenza per esprimere una nostra opinione. La lettura delle stesse ci lascia sgomente e fortemente allarmate per la tutela di tutte le donne come Lorena – commenta il Centro antiviolenza Una di noi. presieduto da Mariella Mazza, parte civile al processo – La Corte di Cassazione di fatto giustifica il comportamento di De Pace e stigmatizza l ‘operato dell’Assise di prime cure e dell’Assise di appello per non avere tenuto in considerazione lo stato psicologico dell’imputato. Valutare il periodo di lookdown come motivazione lascia spazio alla possibilità di ritenere che tutto sia lecito se commesso in un periodo di stress. Ciò che ci preoccupa oggettivamente è ritenere che lo stato emotivo sia dirimente nella valutazione della gravità dell’ atto omicida perché tale valutazione in fatti di sangue di tal fatta potrebbe valere sempre. E in ogni caso incidere quindi sulla pena”.
E ancora: “Il messaggio che si dà alla collettività appare perciò fuorviante- Pertanto non possiamo tacere. Il clima respirato il 30 maggio dinnanzi a una Corte composta da soli uomini, in un’aula in cui l’unica donna era l’avvocata del nostro Cav, lasciava presagire che la giustizia per la morte di Lorena non avrebbe avuto quel giorno la parola fine. Esprimiamo dunque ancora una volta la nostra vicinanza ai familiari che stanno vivendo questo dramma e con forza rinnoviamo il nostro impegno per la lotta alla violenza di genere. Oggi, più di ieri, sentiamo forte la necessità di costruire una cultura differente in cui non è possibile giustificare l’ingiustificabile fine di una vita”.