Cultura e spettacoli

“Il grande freddo” e la continua ricerca di qualcosa

La dinamica che vede un gruppo di personaggi chiuso all’interno di un ambiente – un ascensore, una camera, un castello – sta alla base di numerosi film, dal giallo all’horror, passando per il surreale e la commedia brillante.

Pur basandosi su detta struttura, non appartiene a nessuno dei generi appena citati Il grande freddotitolo originale The big chill -, classico degli anni ’80 – uscito nel 1983, per la precisione – con la regia di Lawrence Kasdan. L’opera, infatti, punta – riuscendoci – a compiere l’analisi psicologica di un gruppo di protagonisti in rappresentanza di un’intera generazione.

L’occasione che porta sette ex compagni di studi a rincontrarsi dopo quasi vent’anni non è delle più liete, per usare un eufemismo. Il film infatti si apre – dopo la nota scena che accompagna i titoli di testa – con il funerale di Alex Marshall, morto suicida.

Dopo la cerimonia, i protagonisti – ai vecchi amici si aggiunge la più giovane Chloe, fidanzata di Alex – si fermano per il week-end nella villa in campagna di Harold e Sarah Cooper (Kevin Kline e Glenn Close), coppia che all’interno del gruppo rappresenta apparentemente la stabilità. Apparentemente, appunto, perché pensare ad Alex – che non vedremo mai, ma il cui peso accompagna tutta la pellicola – e ai motivi della sua scelta porterà in realtà i protagonisti a riflettere su loro stessi.

L’ambientazione rurale, oltre a colpire per la sua bellezza, offre un contrasto con i personaggi, appartenenti alla generazione dei baby boomers, che hanno contestato con convinzione durante il ’68 ma che poi, grazie all’istruzione superiore conseguita nel contempo, si sono inseriti più o meno tutti nella società borghese.

Tutti, naturalmente, ricordano le passioni e gli ideali giovanili, e nessuno è contento della propria vita attuale: c’è chi non è insoddisfatto dal matrimonio, chi desidera diventare genitore temendo che non succederà mai, chi non sopporta il proprio lavoro nonostante il positivo aspetto economico. C’è, naturalmente, l’alone del Vietnam, da cui Nick (William Hurt) è tornato senza l’antico buon umore e con una tendenza a consumare droghe che se non ricade nella vera tossicodipendenza ci va molto vicino.

I temi affrontati da Il grande freddo, va da sé, non sono stati inventati da regista e sceneggiatori, ma il grande merito dell’opera è trattarli con sincerità e garbata ironia, restando ben lontana dagli stereotipi che si rischiano raccontando una generazione.

La curiosità: i polsi di Alex, che si vedono durante i titoli di testa, sono quelli di Kevin Costner. L’attore sarebbe dovuto comparire anche in un flash-back, ma la scena venne tagliata in fase di montaggio.

Il cast: la pellicola segnò l’inizio della carriera di Tom Berenger (Platoon, Chi protegge il testimone, Nato il 4 luglio), Kevin Kline (Un pesce di nome Wanda, In & Out, Il club degli imperatori), William Hurt(Figli di un dio minore, Il bacio della donna ragno, Smoke), Glenn Close (Il migliore, Attrazione fatale, Il mistero Von Bulow) e Jeff Goldblum (La mosca, Jurassic Park, Independence Day).

I riconoscimenti: pur non vincendo alcuna statuetta, il film venne nominato agli Oscar in tre importanti categorie: Miglior film, Migliore sceneggiatura originale e Miglior attrice non protagonista (Glenn Close).

La citazione: da un dialogo tra Sam (Tom Berenger) e Harold (Kevin Kline): <<A gennaio apriamo a Greensboro e poi ad aprile il secondo negozio a Charleston>>, <<Quanti ne avete ora?>>, <<Ventisette o ventotto>>, <<Sta attento o qualche multinazionale ti inghiottirà>>, <<Ho qualche offerta>>, <<Chi avrebbe detto che noi avremmo fatto i soldi… due contestatori…>>, <<Sì, meno male che non è importante per noi>>, <<Giusto, e si fotta chi non capisce le battute>>

Perché vederlo: Anche se il film è incentrato su quella del ’68, ogni generazione ha dovuto confrontarsi con il disincanto dell’età adulta.

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