La città metropolitana rappresenta una grande opportunità di sviluppo per il territorio sotto due aspetti: l’autonomia nel rapporto con l’Europa e l’assunzione di importanti competenze per l’autogoverno del territorio. L’Europa punta, nelle sue linee di sviluppo per il futuro, sui “motori” territoriali identificati nelle città metropolitane. Questi territori, infatti, rappresentano i luoghi di massima dinamica economica europea, dove si addensa la più gran parte della popolazione. Vengono dunque definiti “driver di sviluppo” e, per questa ragione, sono considerati i territori strategici, su cui concentrare le risorse per lo sviluppo. Per questa ragione le città metropolitane avranno un rapporto diretto con l’Europa, con il salto della mediazione regionale per l’accesso e la gestione dei fondi strutturali. Le città metropolitane, dunque costituiscono i più importanti attrattori territoriali di risorse per lo sviluppo e la partecipazione a queste realtà offre, per conseguenza, una straordinaria opportunità di sviluppo.Ma, a parte l’aspetto della mobilitazione dei fondi europei (di cui molto si è detto in questi mesi e che potrebbe anche esser considerato uno specchietto per le allodole, la carotina agitata per attirare i consensi), vi è un’altra fondamentale innovazione implicata dall’istituzione della città metropolitana. Si tratta dei nuovi spazi di autogoverno che caratterizzeranno la gestione delle città metropolitane.
La legge regionale n. 8/2014 non definisce puntualmente le funzioni delle città metropolitane, rinviando a successivo provvedimento, ma ne indica già le aree di competenza (territorio, ambiente, trasporti, sviluppo economico), mentre gli orientamenti emersi nei tavoli tecnici individuano momenti amministrativi specifici molto importanti: 1) approvazione in proprio dello strumento urbanistico: la città metropolitana ed i Comuni che vi aderiscono potranno approvare e adottare i propri PRG (redatti nell’ambito della normativa regionale) senza la necessità di passare per la Regione, col risparmio anche di un paio d’anni per il compimento della procedura; 2) sviluppo industriale: la gestione delle aree ex-ASI transiterà dalla Regione alle Città Metropolitane; 3) risanamento ed edilizia economica e popolare: anche le competenze e le risorse degli IACP verranno concentrate nelle funzioni e nella gestione della Città Metropolitana; 4) trasporti: il campo è tutto da definire, ma dovrà costruirsi un efficiente disegno di trasporto metropolitano in cui (ad esempio) la Città Metropolitana sottoscriva con RFI un contratto per l’utilizzo della rete ferroviaria con vettori “metropolitani” dedicati al trasporto interno di passeggeri, come, ad esempio, accade già a Torino dove la GTT (società di proprietà interamente pubblica per il trasporto pubblico locale) gestisce oltre alla modalità gommata tramviaria anche quella ferroviaria, esercitando quest’ultima sulla rete RFI con rapporto di convenzione; 5) servizi (approvvigionamento idrico, smaltimento rsu, servizi socio-assistenziali); qui la scommessa è giocata sul cambio di direzione: i Comuni della Città Metropolitana dovranno dimostrare di essere usciti dalla logica della gestione clientelare e politica realizzando un sistema razionale ed efficiente di gestione, capace di mettere a frutto le importanti economie di scala realizzabili.
Questi spazi di autogoverno (mai precedentemente concessi agli enti locali) offrono opportunità di efficientizzazione delle prestazioni e miglioramento dei servizi a tutte le municipalità che costituiscono la Città Metropolitana.
La caratterizzazione di quest’ultima come ente rappresentativo “di secondo livello”, d’altronde, garantisce che non vi possa essere una “egemonizzazione” del capoluogo sul territorio a danno dei Comuni più piccoli: tutti partecipano agli organi della Città Metropolitana e la sua giunta è eletta con rappresentanza di tutto il territorio. I Comuni siciliani sono dunque inseriti nella nuova normativa in due tipologie di enti territoriali di area vasta: i “Liberi Consorzi” e le “Città Metropolitane”. La differenza tra questi è che i primi somigliano a province depotenziate (le cui funzioni presidenziali perdono, peraltro, l’investitura democratica), che mantengono ai Comuni le vecchie competenze, gravandoli di quelle originariamente in capo alle province e mantenendoli dipendenti dalla Regione in ordine alla responsabilità delle procedure amministrative; i secondo sono invece enti realmente autonomi e dotati di spazi di autogoverno del tutto inediti. Inoltre, secondo gli orientamenti della riforma del Senato, i Sindaci metropolitani potrebbero essere di diritto componenti del Senato riformato, con una presenza istituzionale diretta nella sede legislativa ed una capacità di rappresentanza degli interessi del territorio impraticabile per le altre realtà territoriali.
La vera domanda è a mio avviso: ma l’insieme dei Comuni individuati dalla legge per il caso di Messina ha le caratteristiche di Città Metropolitana? Costituisce, cioè, un territorio capace di attrarre risorse e investimenti e di attivare processi autogovernati di sviluppo? Indipendentemente dal dissenso nei confronti di un metodo che ha condotto ad una perimetrazione calata dall’alto e per la semplice eredità di una normativa vecchia di vent’anni e mai applicata, la risposta è certamente positiva. Se è vero che nel caso messinese non si ha la “conurbazione di fatto” riscontrabile nel caso di Catania (peraltro nemmeno così presente neanche a Palermo), è pur vero che proprio la differenziazione delle zone che compongono la città metropolitana di Messina, costituita dalla complementarietà delle funzioni produttive, ne determina la ricchezza economica e l’attrattività potenziale. La città metropolitana di Messina è un bacino territoriale che comprende quasi mezzo milione di abitanti e che ospita al suo interno: 1) funzioni produttive manifatturiere (la zona tirrenica, con l’area ex-ASI, una dimensione media d’azienda ben superiore alla media regionale ed un sistema di costa direttamente interfacciato al più grande porto mediterraneo di transhipment: Gioia Tauro); 2) la massima capacità di attrazione turistica dell’isola (con i “poli” fondamentali di Taormina e dell’arcipelago eoliano); 3) una elevata funzionalità amministrativa e di ricerca (con una Università e istituti CNR di elevatissima qualità, la cui presenza – peraltro – cresce nel territorio); 4) un sistema portuale plurifunzionale in rapido sviluppo (Messina è il più importante porto d’Italia per traffico passeggeri e uno dei più importanti in Sicilia per il traffico merci ed il completamento del porto di Tremestieri con la realizzazione della “piastra logistica” razionalizzeranno il sistema di trasporto complessivo da/per l’area peloritana). L’integrazione di queste funzionalità complementari in un’unica realtà amministrativa, dotata delle competenze di autogoverno della città metropolitana, costituirà una risorsa straordinaria per lo sviluppo, non realizzabile nell’ambito istituzionale attuale o in quello meno autonomo dei liberi consorzi.
Messina, inoltre, è direttamente interfacciata alla città metropolitana di Reggio Calabria e la relazionalità con la sponda calabra, anche ai fini della continuità territoriale che la normativa nazionale tutela. Peraltro, l’incompiutezza del percorso normativo e la necessità di definire ruoli, funzioni, risorse della città metropolitana offrono uno spazio di protagonismo che il territorio dovrà saper cogliere in maniera positiva e costruttiva.
Per queste ragioni (e non soltanto per l’accesso ai fondi europei) la città metropolitana rappresenta forse la più importante opportunità istituzionale per attivare processi virtuosi di crescita complessiva del territorio. Ma il successo di questa innovazione dipenderà dalla nostra capacità di realizzare un disegno condiviso di sviluppo che nasca dalla partecipazione di tutti i territori e di tutti gli attori coinvolti.
Guido Signorino