Due interpreti di nuova generazione e un giovane regista ai Magazzini del Sale portano in scena una riuscita piece, intimista, ma non greve, di spessore, pur mantenendosi lieve.
La quotidianità di due esistenze è resa con garbo e gradevolezza, nelle miriadi di sfumature della vita.
La memoria soccorre e inchioda (talvolta) in rievocazioni che, come in un caleidoscopio, attraversano svariati registri e le consequenziali cifre, con le variabili dettate dagli eventi.
Protagonista la vera sorellanza, che si incarna alla perfezione nella resa delle Zecchetto, Gabriella e Alessandra, che formano davvero una “company” e rendono le dinamiche della narrazione autentiche.
Attraverso un fil rouge riemerge, poco a poco, sovente in modo nervoso, qualche volta più fluido, tutto un mondo, uno spaccato generazionale, che lo spettatore è condotto a seguire con empatica partecipazione.
Le gioie si alternano a disillusioni, in questa storia famigliare, ove, come accade, i destini sono interconnessi e le separazioni mai giungono a vera rottura.
È la famiglia, bellezza! spina nel fianco, ma infungibile bene (nostro). E così quella folta e folle umanità, aggregata, nonostante tutto, che l’esistenza ha ferito, ma che sa rialzarsi, è chiamata in vita e prende forma e parola attraverso i ricordi delle sorelle.
I personaggi riesumati sono ben delineati nei loro individuali caratteri e modi di esistere e vogliono aver voce, per dire la propria verità, che è pur sempre filtrata dalle rievocazioni di chi sta compiendo quel viaggio nella memoria.
Prove da affrontare, per permanere nella condizione di fantasmi, che pur pesano, nelle vite altrui.
Come in ogni famiglia, ciascuno dei componenti è collegato a doppia mandata ad ogni altro e ciascuna figura prende il posto che le è stato assegnato in rappresentazione nel viatico esistenziale. La mamma e il papà, che si allontanano sempre più l’un l’altro, lo zio Gino e la sua casetta vissuta quale ricovero e coperta di Linus, la strampalata nonna, che non vuole parlare della sua passata vita,i vicini….riemergono con vitalità. E così la gioia, anche nelle rimembranze, quasi subito lascia posto alla sofferenza sfumata, che si stempera presto in malinconia, che ridiviene fugace serenità e passione esistenziale.
La narrazione non è mai fine a se stessa, né verbosa, anzi per lo più tutto è abbozzato, mai netto, come nella reale condizione di ciò che costituisce aggregazione familiare. La regia, mai pressante, né didascalica, di Antonio Previti, sempre più versatile nelle diverse prove professionali, completa con sagacia il tutto.
E la performance è risultata assai gradita al pubblico, che non ha lesinato applausi e sguardi immedesimati.
Una ulteriore buona rappresentazione ai Magazzini del Sale che, nonostante le vicende pandemiche ormai da due anni limitanti, prosegue in proposte valide in una ambientazione che una volta dietro l’altra, riesce a fondersi, a mezzo scenografie minimaliste, ma essenziali e efficaci, con la mise en espace prospettata…..e viene quasi meno la separazione fra attori e spettatori, perché peraltro le loro vicende sono quelle di noi, umanità dolente, ma sempre in cammino, mai piagata e piegata del tutto.
Le musiche, infine, con le canzoni della Nannini, scandiscono sapientemente quei quadri, ne divengono parte, come sono spesso colonne sonore delle vite nostre.
Un plauso per questo spettacolo che con fierezza ha mostrato individui a tutti somiglianti, che per un’ora hanno lenito le nostre ansie, lasciandoci compenetrare in ordinarie quotidianità, tanto prossime a quelle di ciascuno, portate in scena magistralmente, generando effetto catartico.