Gentile direttrice,
accolgo con piacere il dibattito pubblico che Lei e Tempostretto avete aperto sul fenomeno dei fuorisede e sul loro ruolo nel futuro della città. Parlare di questo tema, infatti, mi consente non solo di portare ai lettori la mia esperienza di studente fuorisede, ormai quinquennale, ma anche e soprattutto di presentare l'esempio dell'associazione FuoridiME, gruppo di studenti e giovani lavoratori messinesi emigrati che ho l'onore di presiedere e di guidare nel reinvestire sul territorio idee, storie, competenze acquisite altrove.
La decisione di partire è stata per me frutto di una libera scelta, dettata da considerazioni personali sul futuro accademico e professionale. Considerazioni che, ovviamente, nascono dalla preoccupazione per un mercato del lavoro saturo, per i pochi sbocchi che si intravedono, per una situazione economica non semplice che spinge a cercare di cogliere opportunità lontano da casa. Di certo non si può parlare di una "necessità" di emigrare ma la scelta di ognuno di noi è senza dubbio compressa da problematiche che a Messina si presentano con più vigore rispetto ad altri posti. E, dunque, possiamo affermare con buona approssimazione che il fenomeno fuorisede, lungi dall'essere semplificabile, è il prodotto di molteplici fattori, ovvero delle scelte che ciascuno compie al momento della fatidica domanda: resto o vado via?
D'altro canto il fattore unificante del fenomeno è la sua dimensione macroscopica. Non ho problemi ad affermare che la mia generazione sia letteralmente spaccata a metà tra chi ha preso la via del fuorisede e i tanti amici che sono rimasti a Messina: scelta condivisibile, che consente un certo fermento nella società civile e lo sviluppo di numerose associazioni giovanili che animano il dibattito locale. Se questi ragazzi sono ben coscienti del mondo, in misura non inferiore ai loro compagni fuorisede, altra parte della città vive invece un pericoloso atteggiamento di chiusura, nell'autarchica convinzione che Messina possa bastare a se stessa, che il mondo conosciuto si estenda dal centro a Torre Faro, che si possa competere con lo sviluppo di altri posti continuando a far ristagnare idee, persone, movimenti.
É questo l'atteggiamento da combattere, questa la mentalità da respingere, questo il modo di fare che ha portato la città all'attuale frattura tra emigranti e "stanziali". Nella mia scelta di andare fuori non mi sento meno parte di questa comunità di chi, pur vivendoci, la denigra; nel mio essere fuorisede non voglio avere meno voce in capitolo di chi non ha la minima percezione di problemi e soluzioni.
Per questo credo che il grande tema del futuro non sia se i fuorisede possono dare un contributo ma in che modo consentire un dialogo efficace tra le forze vive di questa città, indipendentemente dalla loro residenza. Se il fenomeno dei fuorisede ha dimensioni sempre più macroscopiche ne deriva la logica conseguenza che chi tiene a questa città non può che mettere a servizio di tutti spazi e sistemi per integrare i vari contributi. É un compito che grava sugli enti pubblici, sull'Università, sulle associazioni, sui singoli. A differenza di tanti ritengo che Messina abbia bisogno non di tante idee ma di unità d'intenti e condivisione di pochi, chiari e precisi scopi. Il gruppo che rappresento, composto da 70 fuorisede che si spendono per la città a distanza e lavorano da un anno a progetti sul territorio, è disponibile a un dibattito pubblico sul futuro della città che coinvolga chi questa città la ama, a prescindere dalla sua "territorialità", per iniziare a porre le giuste domande su Messina e provare, insieme, a fornire delle risposte.
Roberto Saglimbeni