MESSINA – “Un’occasione imperdibile e rara. Messina risponda affinché non resti un unicum irripetibile”: questo era stato l’appello di Umberto Parlagreco della Multisala Iris.
E Messina ha risposto.
Le sale della Multisala Iris e della Multisala Apollo hanno accolto pienissime Matteo Garrone. Il regista è stato ospite di Messina – alle 17.15 all’Iris, un’ora dopo all’Apollo con Loredana Polizzi (“Apollo Spazio Arte”) – per raccontare al pubblico il suo “Io capitano”. Il film – presentato alla 80esima Mostra del Cinema di Venezia, vincitore del Leone d’Argento per la migliore regia e Premio Marcello Mastroianni per il miglior attore emergente al protagonista Seydou Sarr – è la storia di Seydou e Moussa, due giovanissimi cugini del Dakar, e del loro sogno: l’Europa. Per la possibilità di crearsi lì un futuro migliore – e non per scappare dalla guerra, né dalla disperazione – i due ragazzi, di 16 e 17 anni, affronteranno una moderna odissea, dal Senegal fino al Mediterraneo, attraversando il deserto, il mare, la prigione e la tortura.
Un sogno, quello portato sul grande schermo dalla coproduzione italo-belga, che si ispira al sogno reale di tanti immigrati, una vita che trova la sua autenticità solo nel confronto con quella di chi l’ha davvero vissuta. Garrone, dalla scrittura al set, durante tutta la realizzazione del film, – di cui è anche cosceneggiatore insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini (già suo cosceneggiatore per Pinocchio) e Andrea Tagliaferri – si è fatto guidare da chi quell’odissea l’ha vissuta davvero. “Ho prestato il mio sguardo per mostrare il loro”, dichiara infatti. È il loro punto di vista che “Io capitano” vuole raccontare, per offrire una forma visiva ad un’esperienza che non riusciamo davvero a immaginare, per restituire una voce a chi troppo spesso ne viene privato. E ci riesce, dopo anni di lavoro e preparazione, girando per 13 settimane, tra Italia, Marocco e Senegal, con più di 100 comparse, e una macchina da presa puntuta non più, come siamo abituati a vedere, dall’Europa verso l’Africa, ma al contrario, come un controcampo, dall’Africa verso l’Europa.
Così lo racconta Garrone al pubblico messinese: “Siamo abituati a vedere un sacco di sbarchi, ci immaginiamo i protagonisti come numeri, non conosciamo la loro storia. Nel film, allora, abbiamo voluto fare il controcampo, raccontare la prospettiva di chi vive tale avventura epica. Sono loro – i tanti migranti- gli unici veri portatori dell’epica contemporanea. Il loro è un viaggio per un sogno, una fiaba omerica, vissuta scontrandosi con un sistema ingiusto, per il quale devono rischiare la vita. Desiderano solo un futuro migliore, come tanti di noi, come tanti dei nostri figli. La globalizzazione è forte, sono pieni di immagini che celebrano il benessere dell’Europa, non conoscono ciò che si nasconde dietro quella bella facciata. Intraprendono, allora, un viaggio alla ricerca di quell’ideale, ma non sanno neanche in cosa consista.
Molti giovani immigrati mi hanno detto di essersi rivisti nel mio racconto, sebbene il loro vissuto sia stato ancora più duro. Noi abbiamo raccontato il buio, abbiamo evocato il dolore e la sofferenza, senza voler mai, però, indugiare sulla violenza, mostrandola solo attraverso gli occhi di Seydou. Ciò che ci interessava di più è poter raccontare la luce. La luce che sta nella forza di questi personaggi, capaci di rimanere umani mentre tutto intorno a loro umano non è. Non è un documentario, né un film che vuole ergersi a giudice morale, è un avventura, che, con i suoi toni mitici, speriamo possa trasmettervi le emozioni dei protagonisti. Seydou Sarr (Seydou) e Moustapha Fall (Moussa) sono stati bravissimi, non avevano sceneggiatura, ma leggevamo loro, giornalmente, grazie al nostro traduttore, il copione in wolof, lingua orale del Senegal. Nel frattempo ci spostavamo dall’Africa all’Europa; ciascuno dei due, mentre interpretava il viaggio del suo personaggio, viveva contemporaneamente il proprio”.
La forza del film (candidato designato dall’Italia per la corsa agli Oscar) sta nella sua onestà priva di qualsiasi retorica, pietismo o pretesa moralistica; un racconto autentico, il cui unico obiettivo è farsi sguardo sincero sull’Altro, possibilità di immedesimazione e proiezione in una realtà tragica che crediamo di conoscere, ma non possiamo neanche immaginare.
“Io capitano”, allora, sceglie proprio l’immaginazione come suo strumento per farci abitare dalla storia degli altri, dell’Altro, ascoltare la sua voce, toccare con mano il suo dramma. La tragedia raccontata, senza nessuna umiliazione nè tantomeno alcun sensazionalismo, non viene mai nascosta ma viene affrontata grazie alla sua trasfigurazione mitica. La forza della fantasia e alcune atmosfere fiabesche offrono i loro contorni ad una narrazione epica; un’odissea contemporanea i cui richiami con l’Odissea omerica sembrano impossibili da ignorare.
È come se, in “Io capitano”, Garrone riunisse e superasse ciascuna delle sue cifre stilistiche, ogni suo marchio distintivo: l’arte del raccontare l’immaginifico e il fiabesco, come in Pinocchio e Il Racconto dei Racconti; l’attenta analisi dei personaggi nella loro complessità, tra umano e disumano, come in Dogman; le dinamiche di controllo, violenza e criminalità, come in Gomorra. Tutti questi aspetti tessono la trama di un film in cui, senza smettere di riflettere e aprire gli occhi sulle sfumature di un reale che sembra ancora lontano dal nostro, è impossibile non farsi travolgere dalle emozioni (merito anche dall’impressionante prova d’attore di Sarr e della fotografia impeccabile di Paolo Carnera).
Il risultato è un capolavoro.
Sono tanti in sala coloro i quali hanno già visto il film, ma sono tornati per rivederlo e per ringraziare Garrone. Tra tutte colpisce la testimonianza di un giovane: “Per fortuna, la prima volta che ho visto il film, c’era qualcuno con me a frenarmi dal voler lanciare anche le sedie, mi sono chiesto ma siamo animali o bestie? Ringrazio Garrone, però, perché mi ha ricordato chi sono, da dove vengo. Grazie perché ha mostrato a tutti che c’è un’altra realtà, diversa da quella della propaganda. E mi ha fatto pensare alle parole di Martin Luther King, secondo il quale, più pericoloso delle cattiverie dei malvagi è il silenzio dei buoni. Spero che questo film rompa il silenzio, sia proiettato ovunque, il più possibile, e aiuti a comprendere”.
E, così, tra applausi, sorrisi e lacrime, si concludono le proiezioni messinesi.