Tempostretto dedica l’8 marzo ad Omayma Benghaloum, tunisina 33enne uccisa a bastonate dal marito nella notte tra il 3 ed il 4 settembre dello scorso anno, appena rientrata da una giornata di lavoro al Molo Marconi (vedi qui), dove, come mediatrice culturale, accoglieva i migranti sbarcati.
Se ha ancora senso celebrare (non festeggiare) l’ 8 marzo, allora vogliamo farlo così, dedicando la giornata ad una giovane donna, madre di quattro splendide bambine, emigrata in riva allo Stretto per sfuggire all’inferno e che invece l’inferno l’ha trovato qui. L’inferno ha il volto dell’uomo che lei ha sposato e che in pochi minuti ha cancellato la sua vita affogandola nel sangue.
Omayma, è per noi il simbolo dell’ 8 marzo, perché, stiamo attenti, la sua morte non è da ascrivere ad un’altra cultura, ad altri costumi. No, Omayma è stata uccisa perché si stava battendo per affermare i suoi diritti di madre e donna libera. Il suo campo di battaglia, la trincea nella quale è morta è la nostra, il meccanismo che ha armato l’assassino è il nostro, figlio della nostra cultura e società.
A 33 anni, in un Paese diverso e lontano da quello natio, lavorava per quelle donne, migranti come lei, che sbarcando portano sulle spalle un carico di speranze, paure, violenze, sogni. Madre di 4 bambine dai 3 ai 12 anni, faticava tutto il giorno per costruire il suo domani e dare alle figlie un altro futuro diverso dal suo passato. E’ stata uccisa proprio per tutte quelle battaglie che fanno di ognuna di noi una donna: non voleva tornare in Tunisia col marito. Aveva deciso che la sua Patria di donna era qui e che qui aveva trovato le nuove radici di donna realizzata ed emancipata. Da queste sue radici voleva veder crescere la pianta: le sue figlie. E’ stata uccisa dal marito, nel più classico dei femminicidi, la violenza cieca di uomo che ha perso il potere, il controllo, sulla donna che ha sposato. La giustizia farà il suo corso, mentre l’altra giustizia, quella della vita, ha bisogno di una spintarella. Dobbiamo farci tutti strumento di giustizia e l’unico modo è completare quel lavoro iniziato da Omayma.
La redazione di Tempostretto mette a disposizione il “mezzo” e sposa la proposta che l’avvocato Aura Notarianni ha fatto ad ottobre nel corso dell’incontro promosso dal tavolo permanente Donne in rete e dal Cirs. L’avvocato Notarianni ha infatti proposto la cittadinanza onoraria italiana per Omayma. Non è un vezzo o una pura formalità, è l’unico modo per assolvere il sogno spezzato della mediatrice culturale. La cittadinanza onoraria è un modo per nutrire quelle radici che lei ha piantato e far sì che le 4 bambine siano a tutti gli effetti italiane. Significa che quelle piccole donne allevate grazie ai sogni e alla fatica di Omayma diventino adulte qui, sconfiggendo così per sempre quei colpi di mazza che volevano cancellare una donna. I servizi sociali ed il Tribunale dei minori stanno seguendo con sensibilità e delicatezza il loro futuro, perché da un lato c’è la richiesta dei nonni materni di aver cura delle bimbe, dall’altro, poiché appunto sono tunisini si pone il problema di sradicarle dall’unico sole che hanno visto, il nostro. L’alternativa è un’adozione, ed anche qui, l’obiettivo è tenerle unite così come voleva la madre.
Tempostretto, con l’aiuto dei lettori che ci possano aiutare nell’iter che vogliamo intraprendere, intende avviare una PETIZIONE DA INDIRIZZARE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA, per chiedere la cittadinanza onoraria. Perché se una vittima c’è già, non vogliamo che, sia pure in modi diversi, ce ne siano altre 4. Non vogliamo che vinca la cultura che porta al femminicidio.
Da oggi il nostro impegno, grazie all’avvocato Notarianni, sarà quello di raccogliere le firme da allegare alla richiesta al presidente della Repubblica,affinchè il cuore grande dell’isola, aperto all’accoglienza, all’ospitalità, che tanto ci fa “diversi” rispetto alle altre regioni, diventi ancora più grande e realizzi il sogno di Omayma.
Per farlo dobbiamo essere in tanti e chiediamo anche a quanti sono più esperti in materia di aiutarci a formulare l’istanza ed a quanti hanno più possibilità di noi a far correre veloce la richiesta. Chiediamo anche noi una raccomandazione, raccomandiamo una donna che, anche questo simbolo delle donne, ha fatto tutto da sola, senza aiuti, favoritismi, clientelismi. Si è sudata ogni attimo della sua vita, ha pagato il prezzo più alto per la sua battaglia. Da madre, da donna che lavora, so con assoluta certezza che, se davvero ci sta guardando, vuole per le sue piccole donne un futuro uguale al nostro, fatto di lacrime e sorrisi ma anche di quelle conquiste che sono diventate per noi perfino banali. Per loro non vuole che un giorno un padre-padrone, un marito-padrone, un familiare-padrone, finisca con il massacrarle di botte, oppure usi la violenza dei gesti, delle parole, delle decisioni.
Omayma ha lasciato a noi la sua fiaccola, abbiamo il dovere, come sue sorelle e madri e amiche, di non farla spegnere. In una frontiera ci si aiuta sempre, anche se piovono proiettili, anche se si cade feriti, se un cecchino ci spara, anche se c’è fango e paura. Prendiamo noi la fiaccola di Omayma, facciamolo con le cose concrete, con le mani, con il cuore, non spegniamo quella fiamma e illuminiamo le radici sporche di sangue che lei ha lasciato.
Aiutateci a non fare spegnere la fiaccola.
Il nostro posto occupato in redazione è per Omayma e dalla nostra postazione del pc occupata vogliamo scrivere questa petizione, scrivere un futuro diverso. Perché le cose si cambiano con le azioni.
Rosaria Brancato