Gli avvocati penalisti italiani non si fermano. Dopo il congresso nazionale straordinario delle camere penali, tenuto a Taormina di qualche giorno fa, e in cinque giorni di astensione delle udienze seguiti la posizione della politica non è cambiata.
Il Governo conferma l’abolizione della prescrizione, quindi anche gli avvocati vanno avanti con la loro battaglia contro quella che è considerata una vera e propria iattura per il sistema giudiziario italiano.
Sono stati i penalisti messinesi, insomma, a mettere intorno ad un tavolo avvocatura, accademici e magistratura, per dare un segnale concreto alla politica, fare fronte comune ma soprattutto svelare ai cittadini qual è la reale portata della riforma della giustizia, così come pensata.
Facciamo il punto della “battaglia” con l’avvocato Adriana La Manna, presidente della Camera Penale Piero Pisani di Messina, che ha organizzato il congresso straordinario dell’Unione delle Camere Penali italiane cui hanno partecipato oltre 700 persone.
Avvocato, qual è la posizione dalla quale siete partiti e che vi ha visto a confronto con la magistratura e gli accademici?
E’ una posizione di grande entusiasmo e coesione. La partecipazione al congresso è andata ogni oltre aspettativa sia in termini numerici che di entusiasmo e coesione dimostrato dai partecipanti stessi, una cosa non semplice da ottenere nel mondo dell’avvocatura. Vi hanno partecipato moltissimi colleghi giovani, e tutti insieme abbiamo dato un forte segnale che manifesta la nostra voglia di prenderci lo spazio che ci tocca, dire la nostra nel mondo del diritto per tenere alta la nostra bandiera, che è quella delle garanzie del cittadino.
Una coesione importante, in un momento così difficile e delicato per il diritto. Almeno stando a voi avvocati, per i quali la battaglia contro l’abolizione della prescrizione è fondamentale.
Abrogare la prescrizione vuol dire tenere un soggetto imputato in questa veste per sempre. Vuol dire allungare i tempi del processo, che è una compressione non soltanto del diritto del cittadino –imputato a vedere definita la propria posizione in tempi certi e ragionevoli. E’ una compressione anche del diritto della parte civile a poter accedere ai risarcimenti, anche quei tempi si allungano di conseguenza. E’ una posizione che ci vede accanto all’Anm, che ha condiviso in pieno le nostre ragioni, e anche gli accademici.
La politica però non si è seduta al tavolo del confronto: Bonafede non ha partecipato, l’introduzione della norma nel 2020 è confermata. Insomma, la politica continua a “snobbare” l’avvocatura.
Non sono d’accordo. Abbiamo partecipato ai tavoli ministeriali prodromici all’introduzione della riforma, abbiamo suggerito le nostre proposte. Certamente non ci hanno ascoltato come avrebbero dovuto. Infatti la nostra battaglia va avanti, stiamo programmando nuove date e azioni di agitazione, stiamo anche pensando ad una “maratona oratoria”, ancora tutta da definire però. Insomma, metteremo in campo tutte quelle iniziative che ci consentano di fare arrivare ai cittadini quello che pensiamo sia necessario. Anche i 5 giorni di astensione sono stati pensati non come un momento di “agitazione” della categoria ma come un momento informativo rivolto ai cittadini, perché sia possibile comprendere alcune cose importanti, che chi opera nelle aulee di giustizia conosce ma che non sono così immediatamente percepibili all’esterno. Poi, è importante per noi sfatare alcuni messaggi mistificatori.
Ovvero?
Ovvero l’idea che si cerca di far passare che siano gli avvocati a voler allungare i tempi dei processi per arrivare alla prescrizione. Mentre qualunque istanza di rinvio che arriva da un avvocato sospende i tempi della prescrizione di un procedimento. Il 60% dei procedimenti, poi, si prescrive nella fase delle indagini preliminari. I processi non si prescrivono perché i tempi di prescrizione sono brevi. Si prescrivono perché mancano le risorse materiali e umane a celebrare un processo, si prescrive perché ci sono troppi processi, si prescrive perché ci sono troppi reati.
E abolire la prescrizione non farebbe che aumentare questi disagi. Se oggi in corte d’appello si verifica non di rado che con enorme sforzo una Corte cerca di definire 60 processi in un giorno è perché quei processi sono a rischio prescrizione. Se questo termine non ci fosse più, non sarebbero definiti neppure quelli. Per garantire la celebrazione dei processi e il diritto dei cittadini a una sentenza in tempi ragionevoli e certi bisogna ragionare su una vera riforma della giustizia, che incentivi i riti alternativi e che rivisiti l’udienza preliminare, ad esempio, che così com’è definita oggi non serve proprio a nulla.