CAPO D’ORLANDO – Cresce la platea di quanti chiedono correttivi alla legislazione sulle misure di prevenzione, in particolare quelle legate ai reati di criminalità organizzata. La conferma arriva da Capo d’Orlando dove si è tenuto il convegno su “Le emergenze del sistema penale”. E dove gli interventi dei relatori, al tavolo moderato dal giornalista Nuccio Anselmo, si sono spesso animati.
L’aria che tira? Al cine teatro Rosso di San Secondo affollato, gli applausi sono arrivati spesso, ma quasi esclusivamente agli interventi di chi sostiene la battaglia dell’associazione Nessuno tocchi Caino, impegnata appunto per ottenere correttivi sulle norme esistenti.
A dare il via al dibattito la testimonianza di Pietro Cavallotti, al centro dello scandalo Saguto, che ha raccontato la travagliata vicenda umana e giudiziaria della sua famiglia. L’imprenditore, partendo dalla propria storia, ha usato parole molto critiche nei confronti dell’attuale legislazione, considerando quelle che considera le storture maggiori. L’esempio è proprio il caso dell’azienda di famiglia: assolti, considerati le vittime del caso Saguto, l’azienda è rimasta però confiscata con sentenza definitiva.
Dall’altro lato del tavolo l’avvocato Giuseppe Belcastro della Camera Penale di Roma, che ha presentato insieme al giornalista Anselmo il libro “L’inganno”, di Alessandro Barbano. “Non si può ignorare il dato che il 90% delle aziende confiscate va in liquidazione, l’aleatorietà della gestione dei pentiti, casi come quelli di Cavallotti, o questo continuo slabramento delle misure di prevenzione – ha detto l’avvocato Belcastro – è chiaro che qualcosa non funziona”.
Sulla gestione delle aziende confiscate è intervenuto anche l’avvocato Gian Domenico Caiazza, sottolineando le difficoltà dell’attuale sistema ed in particolare quello relativo all’amministrazione giudiziaria.
Toni opposti, a tratti anche duri, da parte del procuratore capo di Palmi Emanuele Crescenti, a difesa di quello che è considerato “…uno strumento formidabile di lotta alla mafia”. “Sequestri e confische non si toccano – ha ribadito il magistrato. Certamente c’è una seria difficoltà con la gestione delle aziende confiscate, la battaglia per adeguare questo aspetto mi vede d’accordo. Attualmente trattiamo l’amministrazione giudiziaria come le consulenze, servirebbe poterli affidare non a professionisti come quelli attuali ma ad imprenditori. Ma dove troviamo una classe di imprenditori sani che si fanno carico di queste imprese? C’è un “doppio binario” che appare impunità per gli amministratori giudiziari? Sono misure, agevolazioni, pensate per sostenere le aziende sequestrate sul libero mercato, per salvaguardare i posti di lavoro di quelle aziende. Ma lo strumento non si tocca, attaccarlo vuol dire attaccare chi combatte la mafia”.
I pacchetti di riforme in parte già varate e in parte annunciate dal Governo non aprono a correttivi dell’attuale sistema, né in tema di legislazione antimafia né sui limiti generali delle misure di prevenzione. Anzi, il caso “rave party” e gli altri interventi in tema di codice Rosso sembrano indicare che lo strumento della prevenzione tende ad “allargarsi” sempre di più. Una tendenza che, di là delle normative antimafia, meriterebbe forse una riflessione più attenta in un’epoca in cui lo Stato, di là del colore politico, tende ad essere sempre più invasivo.