È di ieri e gli è stata comunicata in serata la decisione della Corte d’Appello di Messina sulla richiesta del suo legale, l’avvocato Salvatore Silvestro. Saro Cattafi, arrestato il giorno di Santa Cristina del 2014 e condannato a sette anni nel processo Gotha 3, non deve più rimanere recluso al carcere duro. Ad aprire le porte al professionista barcellonese è stata la sentenza emessa due settimane fa dagli stessi giudici messinesi – Tripodo presidente della Corte: 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ma soltanto fino al 2000 e senza aver mai rivestito alcun ruolo apicale all’interno del clan di Barcellona. Un verdetto che ha riveduto e corretto sia la condanna di primo grado, 12 anni, che l’impostazione d’accusa della Procura di Messina, che lo dipinge organico e centrale, all’interno degli equilibri della mafia del Longano ma anche punto di riferimento di altre famiglie siciliane.
E che rende incompatibile col suo status il provvedimento del Ministro della Giustizia, che ha disposto per Cattafi il 41 bis. L’uomo è stato recluso nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila per quasi tre anni.
Oggi per lui il provvedimento della Corte d’Appello apre le porte ad una scarcerazione totale, in attesa di vedetti definitivo della Cassazione, visto che esclude il pericolo di fuga e un elevato grado di pericolosità sociale di Cattafi.
Il colletto bianco per eccellenza, confidente dei servizi di intelligence e riciclatore dei denari di Cosa Nostra siciliana, è andato al 41 bis dopo la maxi operazione Gotha della Dda di Messina. Operazione che ha aperto le porte ad una scia di pentimento eccellenti, tra le fila del clan. Hanno così scelto di collaborare con la giustizia i boss Carmelo D’Amico e “Melitto” Bisognano. Restano ancora reclusi al massimo rigore Salvatore “Sam” Di Salvo, il boss imprenditore amante della vita agiata, e il mazzarroto Tindaro Calabrese.