Il 4 giugno del 1993, a Barcellona, tre uomini vennero freddati poiché avevano osato commettere furti senza l’autorizzazione della “famiglia”. Avevano osato, Sergio Raimondi, Giuseppe Martino e Giuseppe Geraci, alzare la testa, agire da cani sciolti, scavalcare quella organizzazione criminale che, proprio lì, teneva le redini ed il controllo. Tutti e tre brutalmente puniti così come, qualche mese dopo, fu punito Domenico Pelleriti, sospettato anche lui di aver commesso una serie di furti senza il placet dell’allora capo boss Giuseppe Gullotti. Per anni, dal 1993 al 2012, il territorio barcellonese divenne così il luogo di lunga serie di omicidi a cui, oggi, l’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia di Messina ha dato nomi e volti di mandanti, esecutori materiali e moventi.
Sono ben diciassette i fatti di sangue su cui gli inquirenti sono riusciti a far luce, infliggendo l’ennesimo letale colpo alla famiglia mafiosa barcellonese. L’Operazione Gotha 6, scattata all’alba, ha chiuso il cerchio su tredici nomi di spicco, moltissimi già noti ed in carcere, alcune “new entry”. Si tratta dei barcellonesi Antonino Calderone, 27 anni, Angelo Caliri, 49 anni, Pietro Nicola Mazzagatti, 55 anni, Tindaro Calabrese, 42 anni, Antonino Calderone, 40 anni, Domenico Chiofalo, 30 anni, Salvatore Chiofalo, 26 anni, Salvatore Di Salvo (detto Sam), 50 anni, Carmelo Giambò, 44 anni, Giuseppe Gullotti, 55 anni, Aurelio Micale, 37 anni, Giovanni Rao, 54 anni, Carmelo Salvatore Trifirò, 43 anni. Tutti loro sono accusati di omicidi a sfondo mafioso.
LE INDAGINI. Scattate nel 2010 e coordinate dai Sostituti Procuratori Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, le indagini rappresentano un ulteriore sviluppo delle precedenti operazioni Gotha che, nel corso degli anni, hanno stangato vertici e nuovi vertici di quella che viene definita come tra le più “solide ed articolate organizzazioni criminali della Sicilia”. Quasi un ventennio, quello su cui ha fatto luce l’inchiesta dei carabinieri del Ros, caratterizzato da un controllo capillare e totalitario del territorio barcellonese nonché da stretti legami della famiglia del Longano con Cosa Nostra palermitana, catanese ed anche con la ‘ndrangheta calabrese. A dare un contributo fondamentale sono state anche le dichiarazioni dei pentiti, tra cui Carmelo D’Amico. Testimonianze, le loro, che hanno permesso agli inquirenti di inquadrare meglio i diciassette omicidi avvenuti tra il 1993 ed il 2012, tutti per mano e volontà della stessa "famiglia".
GLI ARRESTI. Tra gli arrestati di oggi spiccano nomi eccellenti. Figure di primissimo piano, come quella di Giuseppe Gullotti, detto l’avvocaticchio, già condannato all’ergastolo poiché ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, raggiunto da tre proiettili la sera dell’8 gennaio 1993. Nel mirino anche i suoi fedelissimi luogotenenti, come Salvatore di Salvo, detto Sam, e Giovanni Rao, entrambi arrestati nel 2011 durante l’operazione Gotha. Spicca anche il nome di Tindaro Calabrese, già in manette con l’Operazione Vivaio del 2008. Proprio lui che, a partire dal 2006, aveva assunto le redini della famiglia barcellonese.
GLI OMICIDI. Sono diciassette gli omicidi su cui è stato possibile far luce, identificandone mandanti ed esecutori. Per tutti, gli inquirenti hanno ricostruito le esatte dinamiche, gli stessi modus operandi, confermando come tutti siano ricollegabili alla volontà assoluta della mafia del Longano di controllare il territorio. Tutti coloro che alzavano la testa, pagavano con la morte, brutale. Il 4 giugno 1993 fu la volta di Sergio Raimondi, Giuseppe Martino e Giuseppe Geraci, puniti per aver commesso furti senza l’autorizzazione della famiglia. Il 24 luglio 1993 Domenico Pelleriti fu ucciso perché sospettato di aver commesso alcuni furti in un negozio di ceramiche senza il placet dell’allora boss Gullotti. Il 2 febbraio 1995, Salvatore De Campo fu sospettato di aver dato ai carabinieri indicazioni sul luogo in cui si nascondeva Antonino Calderone, e pertanto ucciso. Il 10 aprile 1995 venne ucciso Carmelo Grasso poiché si riteneva avesse intrattenuto rapporti criminali con uomini catanesi scavalcando l’autorità della famiglia barcellonese. Il 5 marzo 1996 Felice Iannello fu freddato poiché si riteneva che spacciasse droga a minorenni di Barcellona senza aver interpellato l’organizzazione del Longano. E poi ancora gli omicidi di Fortunato Ficarra (aveva infastidito delle donne in un centro commerciale), Mario Milici (teneva per sé i proventi delle estorsioni e del gioco d’azzardo), Antonino Sboto (responsabile di furti “non autorizzati”), Giovanni Catalfamo (la sua attività di usura non era tollerata dalla famiglia barcellonese), Giovanni Di Paola, Nunziato Mazzù (si temeva potesse collaborare con la giustizia), Domenico Tramontana (voleva eliminare Carmelo Bisognano, all’epoca figura di spicco della famiglia), Carmelo De Pasquale ( voleva uccidere D’Amico prendendone il posto), Giovanni Isgrò, Carmelo Mazza ed il tentato omicidio di Carmelo Giambò (accusato di tener per sé i proventi della famiglia). (Veronica Crocitti)