La guerra in Medio Oriente, la resistenza della città curda di Kobane e delle sue donne all’esercito islamico dell’Isis raccontata da due rappresentanti del popolo curdo, Havin Guneser – rappresentante dell’ Iniziativa Internazionale per la libertà di Ocalan – e Nilgum Budur -UIKI-ONLUS Ufficio informazione del Kurdistan in Italia
“Il Kurdistan è una colonia internazionale”. Con questa frase del leader curdo Ocalan, Havin Guneser – rappresentante dell’ Iniziativa Internazionale per la libertà di Ocalan – sceglie di fotografare la situazione che storicamente caratterizza il suo popolo. Kobane, la città del Kurdistan occidentale in Siria, tiene ancora sotto scacco le truppe nere dell’Isis dopo 29 giorni di disperata resistenza. E la “questione curda” esplode nel dibattito internazionale, veicolata dalle immagini delle donne – spesso giovanissime – che con un kalashnikov e un sorriso sfidano gli uomini del Califfato. Storia di resistenza ma anche di protesta: quella dei curdi sparsi nel mondo che invocano aiuto per i loro fratelli e le loro sorelle assediati in Siria.
Sotto accusa da parte della popolazione curda, l’inefficacia dell’intervento internazionale e soprattutto la reticenza del governo turco, al quale viene chiesto soccorso non solo militare, ma soprattutto umanitario, con la creazione di corridoi per far passare profughi e aiuti, mentre il confine con la Siria resta, al momento, sigillato. La particolarità di ciò che sta accadendo a Kobane, non risiede solo nella resistenza di questa città alle truppe dello stato islamico, ma anche al modello sperimentale di autogoverno autonomo inaugurato dai curdi, insieme ad altre popolazioni. La regione interessata è quella della Rojala, il territorio resosi indipendente durante il conflitto siriano ed ora amministrato da un autogoverno comunitario. Qui è nata una confederazione “autonoma e democratica” di diverse popolazioni (curdi, arabi, caldei, turcomanni, armeni, ceceni ecc) di cui fanno capo – soprattutto a Kobane – i curdi del YPG/YPJ – spesso erroneamente identificati dai media con i peshmerga, membri viceversa, delle milizie del Kdp della regione del Kurdistan iracheno – supportati dai curdi del PKK, provenienti dal Kurdistan turco.
Ad illustrare la situazione attuale in Medio Oriente e la proposta curda per una pacifica convivenza multietnica, multiculturale e multi religiosa è in Sicilia una delegazione curda, di cui fa parte Havin Gunser insieme a Nilgum Budur -UIKI-ONLUS Ufficio informazione del Kurdistan in Italia. La tappa messinese è stata organizzata dalla Casa Rossa di via Placida e dai membri del Teatro Pinelli, facenti parte della Rete Italiana di Solidarietà al popolo Kurdo. “Nell’esprimere la propria preoccupazione – scrivono gli organizzatori – per il grave attacco al cantone di Kobane – uno dei tre cantoni in cui è diviso il Kurdistan siriano – da parte dei Jihadisti di ISIS, e nel riconoscere l’importante ruolo delle forze di difesa popolari kurde nel proteggere i civili di qualsiasi etnia e religione, ribadiamo il no all’invio di altre armi nella regione, la richiesta di invio urgente di aiuti umanitari, e la richiesta di riconoscimento politico del movimento kurdo in Rojava e in Turchia, movimento che si è dimostrato finora l’unico sul campo in grado di fronteggiare l’avanzata di ISIS in Medio oriente, anche togliendo il PKK – movimento in origine di matrice marxista-lenninista – dalla lista delle organizzazioni considerate terroristiche, lista stilata dai governi (Usa ed Europei), di cui è evidente la natura esclusivamente politica e che non trova fondamento nella normativa internazionale”.
Una questione estremamente complessa, quella curda, che Havin Guneser tenta di affrescare con qualche breve cenno al passato per far meglio comprendere il presente: “Quello che è successo negli ultimi mesi – spiega nel suo inglese chiaro e diretto – ha reso evidente un processo che va avanti da quarant’anni. La questione curda è molto complicata, soprattutto perché il Kurdistan è diviso in quattro stati ciascuno dei quali ha la sua religione e il suo ordinamento. Il ruolo del PKK è importante ed ha radici lontane. È stato fondato alla fine degli anni ’70 – 1978 – quando la sinistra turca intraprese una svolta nazionalista. A fondarlo ci furono molte donne e gente di altre popolazioni oltre quella curda. Dopo il colpo di stato dell’80, Ocalan ha spostato il PKK in Medio Oriente. In questo pellegrinaggio i membri del partito si fermarono proprio a Kobane. C’è una forte connessione tra quello che è successo allora e quello che sta succedendo ora, poiché i gruppi che hanno fondato la regione autonoma in quell’area traggono origine dall’insegnamento e dalla dottrina elaborata in quel periodo, che ha i suoi capisaldi nella lotta al nazionalismo, al capitalismo e al patriarcato. Da quel tempo è stato sviluppato il pensiero della modernità democratica perché la modernità non è solo capitalismo”.
Al contrario dell’immagine delle barbie in divisa – recentemente scimmiottata anche dalla nuova linea autunnale lanciata dal marchio H&M – la grande partecipazione delle donne curde deriverebbe, in gran parte, da una precisa formazione politico-culturale di vecchia data, che trova il suo capisaldo nella lotta al patriarcato, cosa questa, teorizzata dallo stesso leader del PKK. “La grande rottura di Ocalan fu quella di puntare sulla liberazione delle donne – racconta la responsabile del movimento per la liberazione del leader curdo, tutt’oggi recluso in Turchia- Lui diceva sempre che le donne sono una classe, una nazione e una colonia e non ha mai distinto il patriarcato dal capitalismo. Tutte le schiavitù si fondano sul sistema patriarcale: lo Stato fondato sul patriarcato opprime anche gli uomini, ma le donne hanno un extra venendo oppresse dagli uomini ed essendo condannate al silenzio. Indipendentemente dalle intenzioni, il sistema patriarcale produce sempre lo stesso risultato”.
Le due rappresentanti del popolo curdo puntano l’indice sulla gravità della situazione attuale in Medio Oriente. Per Nilgum Budur c’è “il rischio di un genocidio” se non ci sarà un fermo intervento della comunità internazionale. Sono state già realizzate una serie di iniziative di sensibilizzazione e di raccolta fondi per i sopravvissuti ai massacri dell’ISIS che hanno trovato rifugio presso i campi profughi, gestiti e difesi dalle formazioni kurde, mentre si lavora per una grande mobilitazione il 1 Novembre. Le donne curde, però, non concedono sconti alle coscienze occidentali: l’Isis è un mostro creato dalle potenze imperialiste.
“Noi vogliamo un’autonomia democratica per tutti i popoli in questi paesi. Dal punto di vista delle potenze capitaliste cosa sta facendo l’Isis va benissimo: se guadagna terreno sopprimerà lo stato autonomo dei curdi e darà il pretesto per spostare le politiche degli stati ancora più a destra”. A questo riguardo le due rappresentanti curde giudicano gli interventi della coalizione anti-terrorismo realizzati finora, insufficienti se non del tutto effimeri. La colpa di Kobane sarebbe quella di rifiutare ogni forma di fondamentalismo come ogni compromesso con il neo-imperialismo. Per questo l’Isis l’attacca. Per questo l’Occidente l’abbandona.
Eleonora Corace