Quelli degli arrivi, delle case che si riempiono, della gioia, della festa.
Le mamme preparano le camere da letto, cambiano lenzuola pulite, mettono piumoni, tolgono polvere inesistente.
Stilano la lista della spesa e appuntano in mente quelle cose che bisogna per forza cucinare.
Il pescestocco per la vigilia, che magari a loro non piace tanto, ma che si deve preparare ed assaggiare “pi divuzioni”.
E le vongole e le cozze e il pesce da prenotare.
E per Natale che prepariamo?
Quando arrivano chiediamo cosa preferiscono…
I papà verificano i termosifoni.
Devono funzionare perfettamente che lì sono abituati al caldo e qui, anche se non è freddo, “è umido” e loro ormai lo patiscono.
I nonni hanno già pronte le buste con il denaro che allungheranno di nascosto ai nipoti.
Chissà perché i nonni hanno questa mania di dare i regali sempre di nascosto quando lo sanno tutti che per quei nipoti darebbero anche la vita.
Daranno la busta e sussurreranno “ti ccatti chiddu chi voi p’amuri mei…”
Poi ci sono gli amici che qualcosa organizzano sempre.
La pizza, la giocata a carte, la bevuta, la chiacchierata lunga in macchina piena di ricordi e sogni ancora avvolti nella stagnola della speranza.
E poi ci sono loro.
Quelli che arriveranno.
In aereo, chi se lo può permettere.
In treno, in autobus o in macchina gli altri.
Viaggi lunghi, disagiati, da quei luoghi che non sono il “loro posto”.
Tra code, interruzioni, condizioni meteo non troppo serene, traffico intenso e bollini neri.
Chilometri di autostrada.
Come un nastro da srotolare, giù, giù, verso casa.
E arriveranno a Villa, col biglietto della nave già acquistato in autogrill per fare prima.
Che poi non serve.
Perché ai traghetti in questi giorni c’è sempre la fila.
Che si misura in ore, non in chilometri.
E infine la bocca enorme di quella nave che si spalanca.
E in nave si scende comunque, anche se la stanchezza ti ammazza.
Un quarto d’ora di traversata, ma si scende.
E si esce sul ponte.
Per respirarla subito quell’aria, ingoiandone quanto più possibile, mangiandola, bevendola con avidità.
Sullo sfondo Messina.
Con le sue luci di Natale, i suoi drammi, la sua meraviglia.
Messina che è l’uscio che si spalanca sulla memoria, sul sogno, sulla vita.
Maestosa, immensa.
E la Madonnina con la lettera in mano.
E quell’emozione intensa, indescrivibile.
Ci siamo, scendiamo che si sbarca.
Siamo arrivati.
A casa, nel “nostro posto”.
Molti hanno ancora centinaia di chilometri da percorrere, ma a Messina sei già a casa.
A volte allo sbarco le mamme e i papà che non resistono.
E gli abbracci, i baci.
“Ma quanto sei magro…adesso ti faccio riprendere io…e questo colore smunto…adesso ti colorisci…”
E i bambini eccitati e i papà che ingoiano la commozione e la contrabbandano con un abbraccio forte e silenzioso.
Prendiamo il caffè?
No, la granita…la voglio subito.
E si va a casa.
Che si riempie.
Pochi giorni?
Non importa, basteranno.
Per fare quel pieno d’amore che li accompagnerà su quella nave, al ritorno…
Antonella Pavasili
La meravigliosa foto è di Marcello Santalco.
Una struggente alba sullo Stretto di Messina.