È lo sguardo di un buffone quello che Daniel Kehlmann sceglie per accompagnare il lettore attraverso l’Europa devastata dalla Guerra dei trent’anni nel suo romanzo Il re, il cuoco e il buffone.
Tyll Ulenspiegel, ispirato a una figura del folklore popolare tedesco, già da bambino va vicino alla morte in più occasioni. Poco dopo, suo padre, a causa soprattutto della propria ingenuità, viene accusato di stregoneria e mandato al rogo.
La madre, rimasta sola, non saprebbe come occuparsi di lui e Tyll, insieme alla amica Nele, scappa dal paese dove è nato per diventare un artista di strada. In un mondo sconvolto da un conflitto fatto più di saccheggi che di grandi battaglie, e dalla risoluzione apparentemente irraggiungibile, un mondo in cui tra la violenza, la scarsità di cibo, il freddo e il diffondersi della peste, la morte è sempre dietro l’angolo, quella dei girovaghi è forse la vita più difficile.
Privi di una corporazione che li difenda, i primi a essere sospettati in caso succeda qualche guaio, sempre costretti a muoversi, con i pericoli che ne conseguono, e in grado di mangiare solo se il loro spettacolo è apprezzato dal pubblico; di contro, i girovaghi hanno anche poco da perdere. Di fatto, possiedono solo due cose: la vita – e quella prima o poi la perdono tutti, i re e i servi della gleba – e la libertà – di cui, soprattutto, sono gli unici a apprezzarne il sapore.
Tyll diventerà l’artista di strada più famoso del suo tempo; giocoliere capace di lanciare in aria e controllare numerosi oggetti, anche di forma e peso diversi, acrobata in grado di camminare, correre e saltare su una fune tesa nel vuoto. Queste capacità, e la sua lingua tagliente e ambigua lo rendono un perfetto buffone di corte, l’unico che può offendere un re, cosa di cui anche i sovrani riconoscono l’importanza.
Ma è anche l’unico a non abbandonare lo sfortunato Re d’inverno quando questi sta per morire, e ad onorarlo. Va detto che Tyll non è un eroe senza macchia, né un giustiziere o un raddrizza-torti. La sua ambiguità, la sua capacità di essere perfido unita a un’etica del tutto personale ma irrinunciabile, lo rendono il narratore perfetto per una storia che si svolge in un periodo complesso.
Un periodo in cui, oltre alla già citata Guerra dei Trent’anni, a colpire il lettore sarà l’assoluta assenza della ragione. Emblematico, a riguardo, il metodo “scientifico” (che di scientifico non ha nulla) di un personaggio fondamentale de Il re, il cuoco e il buffone: Athanasius Kircher, reale celebrità dell’epoca, alla ricerca di sangue di drago per curare la peste e di eretici da mandare al rogo per fare carriera.
I paradossi raccontati da Kehlmann fanno sorridere, ma fanno anche paura, sia per come possono influenzare il destino dei protagonisti nel romanzo, sia perché ci ricordano come – sia pur con forme e intensità diverse – pregiudizi, superficialità e mancanza di logica condizionino fortemente pure il nostro tempo.